Roma:Confindustria-SRM, checkup Mezzogiorno evidenzia effetti crisi durissimi

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Servono interventi robusti per amplificare timidi segnali positivi. Fondamentali risorse coesione
Pil in calo di 47,7 miliardi di euro; quasi 32mila imprese in meno; oltre 600mila posti di lavoro perduti; 114mila persone in cassa integrazione; quasi 2 giovani meridionali su 3 disoccupati: questa la fotografia della crisi dal 2007 ad oggi secondo il Check Up Mezzogiorno elaborato da Confindustria e SRM sullo stato di salute dell’economia meridionale.

Roma, 25 luglio 2014 – È racchiusa in pochi dati la durezza degli effetti della crisi sull’economia del Mezzogiorno, che ha conosciuto nel 2013 il suo punto più basso. E i primi mesi del 2014 confermano purtroppo questa tendenza negativa: il saldo tra imprese iscritte e cessate è negativo per oltre 14mila unità. Dall’inizio dell’anno hanno infatti cessato la propria attività 573 imprese meridionali al giorno, con i fallimenti in crescita del 5,7% rispetto allo stesso periodo del 2013.

L’Indice Sintetico del Checkup elaborato da Confindustria e SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo) è sceso nel 2013 al di sotto del minimo registrato nel 2009. A deprimere l’Indice è soprattutto il dato degli investimenti pubblici e privati, diminuiti di quasi 28 miliardi tra il 2007 e il 2013: un calo di oltre il 34%, con punte di quasi il 47% nell’industria in senso stretto e del 34% nell’agricoltura e nella pesca, che pure sono settori in cui è forte la specificità del Mezzogiorno. In particolare, frenano gli investimenti pubblici: tra il 2009 e il 2013, infatti, la spesa in conto capitale nel Mezzogiorno si è ridotta di oltre 5 miliardi di euro, tornando ai valori del 1996, contribuendo alla riduzione del numero e del valore degli appalti pubblici. In calo di numero, ma soprattutto di valore (da 8,6 miliardi a poco più di 5) sono anche le gare di partenariato pubblico-private bandite nel Mezzogiorno. Si realizzano, dunque, sempre meno investimenti pubblici, sia che lo Stato li finanzi direttamente sia che li promuova indirettamente. E ciò è paradossale, se si considerano le difficoltà economiche che suggerirebbero l’opportunità di un’azione pubblica decisamente anticiclica.

Segnali parzialmente in controtendenza vengono dalle esportazioni meridionali: l’export è, infatti, l’unica variabile il cui valore al 2013 è superiore (+2,4%) a quello del 2007. Tuttavia, tale recupero sembra essersi fermato nel 2013 e nei primi mesi del 2014, o meglio differenziato: scende l’export di idrocarburi, oscilla l’export di acciaio, si rafforzano settori come l’aeronautico/automotive, la meccanica, la gomma/plastica, l’agroalimentare. Così come si rafforza l’export dei principali poli produttivi e dei distretti meridionali.

Non sono i soli segnali timidamente positivi: cresce il numero delle società di capitali (+3,2% rispetto a un anno fa), delle imprese aderenti a contratti di rete (oltre 1.600), delle nuove imprese condotte da giovani (50mila nel solo 2012); tornano a crescere, in alcune regioni meridionali, i turisti stranieri.

Segnali contradditori vengono dalle dinamiche creditizie. Gli impieghi nel Mezzogiorno continuano a scendere (8,4 miliardi di euro in meno rispetto al 2012), mentre i crediti in sofferenza hanno ormai raggiunto i 35 miliardi di euro. Tuttavia, nei sondaggi più recenti le imprese segnalano una lieve attenuazione della restrizione nelle condizioni di accesso al credito. Non si è ancora verificata un’inversione di tendenza nella dinamica dei prestiti, ma la riduzione sembra accennare a frenare.

Sono alcuni timidi segnali di vitalità dell’economia meridionale (che trovano riscontro in un clima di fiducia che torna lentamente a crescere), che tuttavia non sono ancora sufficienti a compensare l’onda lunga degli effetti della crisi. È necessario e urgente un robusto intervento per amplificare al massimo questi segnali positivi attraverso due azioni convergenti.

È necessaria la decisa attuazione delle riforme istituzionali e strutturali (fisco, energia, semplificazione, riduzione strutturale dei tempi di pagamento della PA) di cui l’Italia, in particolare il Mezzogiorno ha estremo bisogno, non solo per i benefici effetti sulla competitività, ma anche perché la loro effettiva definizione è la strada obbligata per dimostrare l’affidabilità del nostro Paese a livello europeo.

A queste riforme deve accompagnarsi una politica economica chiaramente orientata allo sviluppo.

Se è vero che la spesa corrente ha ripreso la sua corsa (+5,7% nel Centro-Nord; +3,2% nel Mezzogiorno nel 2012), notevole è stata soprattutto la compressione della spesa in conto capitale (-9,5% al Sud). Di fronte a una caduta degli investimenti come quella osservata, la partita decisiva per il Sud si gioca perciò attorno a un pieno ed efficace impiego delle risorse della politica di coesione.

L’esclusione dal Patto di Stabilità europeo delle spese cofinanziate e, di conseguenza, l’allentamento del Patto di Stabilità interno, rappresentano un nodo decisivo, per sciogliere il quale la credibilità del Paese è condizione fondamentale.

Nel recente Consiglio europeo di Ypres l’Italia ha posto con forza il tema della flessibilità nell’attuazione del Patto, ma entro l’autunno i meccanismi concreti con cui la flessibilità può essere applicata devono essere definiti, per non lasciare che questo primo risultato resti solo una petizione di principio.

È obbligatorio, per gli stessi obiettivi di credibilità del Paese, non perdere nemmeno un euro delle risorse già a disposizione, e ancora di più far sì che ogni euro speso costituisca un effettivo volano di sviluppo. Secondo una stima di massima, utilizzando a pieno tutte le risorse per la coesione, comunitarie e nazionali, si potrebbero mobilitare nel Mezzogiorno oltre 14 miliardi di euro l’anno per i prossimi 9 anni, per favorire la competitività del tessuto produttivo e la propensione a investire, la sua apertura internazionale e la sua capacità di innovare, per migliorare la dotazione infrastrutturale e di servizi, per sostenere l’istruzione e le competenze dei cittadini meridionali; per recuperare e valorizzare un patrimonio naturale e culturale che costituisce insieme la maggiore risorsa inutilizzata e una delle migliori carte da giocare.

La riattivazione di un flusso di investimenti così impegnativo su tematiche così ampie rappresenta un impegno enorme, per affrontare il quale la neonata Agenzia per la Coesione dovrà rapidamente svolgere un ruolo decisivo, favorendo il miglioramento strutturale della capacità delle pubbliche amministrazioni del Mezzogiorno. È un impegno non più rinviabile su cui non sono ammissibili colpi di mano: l’idea che il risanamento dei conti pubblici possa essere messo, ancora una volta, a carico delle risorse per gli investimenti contribuirebbe a condannare, non solo il Mezzogiorno, ma tutto il Paese, a una lunga stagnazione.

Il volume completo del Check Up Mezzogiorno è disponibile sul sito di Confindustria e su quello di SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno.

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