Milano: Presentazione del V° Rapporto sull’economia del mare.Cluster marittimo e sviluppo in Italia

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Milano, 23 ottobre 2015Paolo d’Amico, presidente della Federazione del Mare. Spunti per la Tavola-rotonda.

                 – Questo è il V Rapporto sull’economia del mare che la Federazione del sistema marittimo italiano realizza assieme alla fondazione Censis, una volta di più scelta per assicurare autorevolezza e continuità allo studio. Questa edizione vede il concorso della Direzione generale per la Vigilanza sui porti ed il trasporto marittimo del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, concorso che conferma il carattere di punto di riferimento del Rapporto.

    • Era vent’anni fa, quando uscì il primo di questi rapporti, frutto di una nuova iniziativa quale era la Federazione, che univa le principali componenti private dell’economia marittima italiana per definirne la dimensione in termini di valore della produzione e di occupazione. Si trattava di uno dei primi esperimenti in Europa di dare voce unitaria a quello che oggi tutti chiamano cluster marittimo, oggetto ormai di specifiche politiche dell’Unione.

 

    • Da allora, molte cose sono cambiate:
      • nel Rapporto sono state considerate anche le attività marittime istituzionali (Marina Militare, Guardia costiera, Autorità portuali, istituti di previdenza e assistenza), che completano un quadro realistico del nostro cluster.

 

      • è cambiata la dimensione della produzione e dell’occupazione delle attività marittime: da una produzione pari a 21 miliardi di euro si è passati a quasi 33 miliardi; l’occupazione è passata da 120mila addetti diretti e 190mila indiretti a rispettivamente 170mila e 300mila. E’ una crescita del settore del 55%, pur rallentata dalla lunga crisi finanziaria ed economica, che ha ovviamente toccato pesantemente attività molto integrate nel commercio mondiale.

 

Come risulta dal Rapporto, attualmente il cluster marittimo italiano, tra le sue componenti industriali, manifatturiere o terziarie, e quelle istituzionali, produce in un anno quasi 33 miliardi di euro, pari al 2% del Prodotto interno lordo nazionale, e dà lavoro a circa 500mila addetti, tra diretti e indiretti.

 

    • La navigazione mercantile costituisce il fulcro attorno al quale ruota l’economia marittima. Considerato l’insieme delle attività ad essa dedicate – quindi non solo l’industria armatoriale dei trasporti marittimi, ma anche quella navalmeccanica e quella portuale (con tutte le funzioni ad essa legate, di amministrazione, di agenzia e intermediazione marittima, di logistica e spedizione, di movimentazione e stoccaggio, di certificazione e assicurazione, di servizio tecnico-nautico, etc.) – la produzione annua è oggi superiore a 22 miliardi di euro, con un’occupazione diretta di 84mila addetti e di altri 170mila nell’indotto. Una crescita in quasi vent’anni del 55% per il Pil e del 60 % per l’occupazione. Si aggiungono poi la nautica, con 4,5 miliardi di contributo al Pil ed un occupazione totale di 97mila addetti, la pesca (4,8 miliardi e 56mila addetti), le attività marittime istituzionali (4,5 miliardi di euro e 64mila addetti).

 

 

(all’inizio) “Da quello che risulta, una volta di più, dallo studio realizzato assieme al Censis, emerge il ruolo che in Italia rivestono le attività marittime. Può incuriosire come mai la presentazione del V Rapporto sull’economia del mare avvenga a Milano, lontano dai tradizionali capoluoghi marittimi”;

    • Quella italiana è anzitutto una economia di trasformazione, dove le materie prime, di cui il nostro paese è molto povero per gli standard attuali, arrivano da fuori (per lo più da altri continenti) per essere qui processate in semilavorati e prodotti finiti e quindi destinate ad altri mercati in Europa e nel mondo. Ed è anche un’economia in cui il turismo interno e internazionale gioca e giocherà sempre di più un ruolo chiave nello sviluppo.

 

    • Ma l’impatto delle attività marittime sull’economia va oltre gli aspetti più strettamente legati alla loro dimensione trasportistica e si rivolge direttamente ai settori produttivi.

Faccio solo qualche esempio.

 

Il cluster marittimo industriale spende annualmente in acquisti oltre 19 miliardi di euro:

3 miliardi e 600 milioni di euro in prodotti della raffinazione del petrolio,

1 miliardo e 870 milioni in servizi di noleggio, leasing, attività finanziarie e assicurative,

1 miliardo e 520 milioni in prodotti metallici e metallurgici,

980 milioni in componenti per mezzi di trasporto,

650 milioni in prodotti alimentari e bevande,

610 milioni in apparecchiature meccaniche ed elettriche,

480 milioni nei computer e nei servizi connessi,

460 milioni in servizi di vigilanza e di supporto agli uffici,

360 nelle attività immobiliari,

340 milioni nelle agenzie di viaggio,

265 milioni di euro nel settore delle costruzioni,

260 milioni in prodotti chimici,

  1. milioni in telecomunicazioni,

240 in mobili e altri manufatti,

220 in prodotti di plastica,

(e qui ci fermiamo)

 

Per costi di distribuzione, in buona parte relativi a pesce diretto a ristoranti e industria alimentare, quasi 2 miliardi di euro.

 

C’è poi il grande capitolo delle attività professionali: 760 milioni di servizi legali, di contabilità, di architettura e di ingegneria.

 

E quello, altrettanto importante, degli acquisti di beni e servizi effettuati da diportisti e croceristi al di fuori del settore marittimo, valutati in oltre 2 miliardi di euro.

 

A ciò si ricollega l’idea del “moltiplicatore” cioè dell’impatto che le attività marittime hanno sullo sviluppo economico, sia in termini di produzione che di occupazione.

Il primo, il moltiplicatore del reddito, è pari a 2,63: vale a dire che ogni milione di euro di domanda di beni o servizi marittimi, o di spesa per investimenti, o di esportazioni attiva più di 2,6 milioni di euro in tutto il sistema economico, 1,6 dei quali in attività altre rispetto a quelle marittime. E’ un indice che sale a 4,1 nell’attività armatoriale dei trasporti marittimi, 4,5 nella cantieristica, a 3,7 nella nautica da diporto (incluso il turismo ad essa legato).

 

Il secondo, il moltiplicatore dell’occupazione, è uguale a 2,77: il che significa che 1.000 nuovi addetti nel sistema marittimo, comportano l’occupazione di 2.770 addetti nel sistema economico generale, di cui 1.770 al di fuori delle attività marittime. Anche qui il coefficiente varia settore per settore e raggiunge 4,7 e 6,9 rispettivamente nei trasporti marittimi e nella nautica da diporto (inclusa la spesa turistica di croceristi e diportisti), il 3,6 nella cantieristica ed è di oltre 10 per le Autorità portuali.

Sono dati significativi ed esprimono in termini matematici una realtà che spiega la presenza della Federazione qui a Milano, fuori dai territori che si affacciano sul mare, ma nel principale centro economico e finanziario del Paese: il fatto cioè che il mondo marittimo sia un driver” di sviluppo anche per il resto dell’economia.

 

 

 

-(alla fine) “Condizione di uno sviluppo positivo in campo economico è spesso il muoversi in un ambiente istituzionale che non ponga eccessivi ostacoli: è questo il caso anche del cluster marittimo e cosa si può fare di più?”

    • Un aspetto da sottolineare è l’ammodernamento del sistema marittimo intervenuto in questi anni: un ammodernamento che, in un sistema fortemente regolato com’è quello marittimo, è dipeso da un processo di riforma che ha reso competitivi con i concorrenti la flotta mercantile italiana e i nostri porti.

 

    • Particolarmente fruttuosa è stata la riforma della navigazione internazionale: essa ha reso disponibili risorse per investimenti che hanno portato la flotta a raddoppiare ed a rinnovarsi. Oggi la flotta italiana è tra le principali al mondo (la terza dei grandi paesi riuniti nel G20) e supera i 17 milioni di tonnellate di stazza, con posizioni di assoluto rilievo nei settori più sofisticati (ro-ro, navi da crociera, navi per prodotti chimici). Dopo la riforma sono stati investiti oltre 35 miliardi di euro nella costruzione di nuove unità navali.

 

  • Quella della navigazione internazionale è l’esempio di una riforma che ha funzionato, restituendo competitività a un settore ed è stata poi estesa alle crociere, al cabotaggio maggiore, alla nautica, alla pesca. Ovunque essa ha portato ad investimenti, con ricadute spesso di grande rilievo: sulla specializzazione dei nostri cantieri nelle grandi navi da crociera, un settore nel quale sono oggi leader mondiali, e in quelle da trasporto passeggeri; su quella dell’industria nautica nei maxi-yacht, ove l’Italia si contende con gli Stati Uniti la posizione di primo produttore del mondo; sulla pesca marittima, pur ormai orientata verso l’acquacoltura.
  • Altrettanto importante la riforma dei porti del 1994, riforma che ha consentito all’Italia di qualificarsi a lungo in Europa come primo importatore ed esportatore via mare, ma che sta perdendo di efficacia. Nel 2014 sono passate per i porti Italiani 195 milioni di tonnellate di merci: un - 9% rispetto a due anni prima e un nuovo calo di traffico per i nostri scali marittimi, i quali nell’ultimo decennio perdono più di un quinto del loro import-export: in parte ciò è dovuto al ridursi dell’attività economica, ma in parte è anche legato ad una perdita di competitività, alla quale il nuovo Piano strategico della portualità e della logistica dovrà porre rimedio. Lasciamo ad altri il primo posto in Europa, a lungo detenuto, dato che i sistemi portuali di altri paesi (Paesi Bassi, Regno Unito e Spagna) ora ci sopravanzano.L’Italia resta però la prima meta per i passeggeri, con 11 milioni di movimenti di crocieristi e altri 47 milioni di viaggiatori, che testimoniano il ruolo che i nostri scali rivestono nel dare slancio all’industria del turismo e nell’assicurare la continuità territoriale del Paese.

  • Per mantenere una posizione di avanguardia è sempre più necessario un adeguato sviluppo delle infrastrutture e della logistica, in modo da assicurare trasporti celeri, efficaci ed economici tra le aree nazionali od europee e quella grande porta sul mondo che è il mare.

  • L’incontro di oggi, dato il rilievo del nostro cluster, deve richiamare anche ad un efficace coordinamento amministrativo in materia marittima, dando così risposta ad una questione quanto mai sentita da quando le competenze marittime sono state progressivamente disperse tra più amministrazioni. L’auspicio della Federazione del Mare è una adeguata attenzione al settore in sede politica e che una catena di comando ben funzionante si faccia carico dei problemi e porti la soluzione così individuata alla sua attuazione legislativa e amministrativa in tempi ristretti, conformi agli standard internazionali caratteristici del mondo marittimo.

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