Riad, 23 aprile 2016 – Il ritorno dell’Iran sullo scacchiere internazionale è considerato uno degli eventi economici e politici più rilevanti del 2016. L’accordo raggiunto il 14 luglio 2015 tra i cosiddetti P5+1 (i cinque membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la Germania) e la Repubblica Islamica segna una svolta nei negoziati sull’annosa questione del nucleare iraniano, che potrebbe trovare conclusione proprio nel corso del nuovo anno. Un risultato che metterebbe la parola fine alle sanzioni europee e statunitensi, incluse quelle sull’industria petrolifera applicate tra fine 2011 e l’estate 2012 le cui conseguenze sono state tutt’altro che irrilevanti:
- Affossamento degli investimenti upstream sia oil che gas: numerosi progetti sono stati cancellati o rinviati, mentre quelli confermati soffrono la carenza di expertise e tecnologia, nonché di un sistema infrastrutturale adeguato;
- Contributo al declino della produzione petrolifera – da 3,7 mil. bbl/g nel 2011 ai 2,7 del 2014 – e al rallentamento della crescita di quella metanifera;
- Riduzione delle entrate correlate all’export di greggio e condensati, passate da 118 mld doll. nell’anno fiscale 2012/2013 a 56 mld doll nel 2013/2014 (-53% ca.).
Se da un lato l’imposizione delle sanzioni ha significativamente influenzato le dinamiche del settore petrolifero iraniano, la loro rimozione – divenuta di primaria importanza per risolvere la condizione di isolamento economico che caratterizza il paese – potrebbe avere un impatto evidente sia sul piano internazionale che su quello interno. Nel primo caso in termini di effetto sui prezzi del greggio, già fortemente depressi dalla condizione di eccesso di offerta esistente su scala mondiale e che fatica a riassorbirsi. Nel secondo, in relazione alle potenzialità di sviluppo dell’industria petrolifera nazionale.
Il rischio ribassista del ritorno del greggio iraniano
Uno dei principali elementi di incertezza che caratterizzerà l’oil market nel 2016 è proprio il ritorno del greggio iraniano. Le difficoltà finanziarie di Teheran impongono di aumentare il più possibile l’export petrolifero non appena le sanzioni verranno rimosse, il che rischia di rimandare ulteriormente il riallineamento tra domanda ed offerta, con un potenziale effetto ribassista sui prezzi. In che misura ciò avverrà dipende sostanzialmente da quanto greggio tornerà sul mercato e con quali tempistiche. Stando a quanto dichiarato dall’Iran, i volumi addizionali che il paese sarebbe in grado di produrre ed esportare nel giro di un anno dall’eliminazione delle sanzioni sarebbe di circa 1 milione di barili al giorno, di cui la metà in tempi molto rapidi. Tuttavia, affinché ciò accada, Teheran deve rispettare una serie di misure, tra cui il divieto di accumulare materiale idoneo alla costruzione della bomba atomica e la riduzione di due terzi del numero delle centrifughe di cui dispone. I più ottimisti parlano di gennaio, altri indicano in maniera più cautelativa la primavera, ma l’assolvimento degli obblighi potrebbe anche richiedere più tempo. Differenti sono inoltre le pratiche di rimozione che riguardano l’Unione Europea e gli Stati Uniti, con le prime previste risolversi più rapidamente delle seconde.
Tuttavia, per un mercato come quello petrolifero, anche la sola aspettativa di questi flussi addizionali alimenta sentimenti ribassisti. Lo dimostra il calo delle quotazioni susseguente alla firma dell’accordo lo scorso luglio, così come quello che ha fatto seguito al vertice OPEC del 4 dicembre 2015, quando l’Iran ha ribadito di non voler sottostare ad alcun vincolo produttivo, alimentando i timori di un 2016 ancora all’insegna dell’eccesso d’offerta. Il mancato raggiungimento di un accordo a livello OPEC circa le modalità di rientro del greggio iraniano è inoltre espressione di assenza di coesione interna al cartello e rappresenta un ulteriore elemento di incertezza per il mutamento di equilibri che potrebbe derivare dalla ripresa della produzione del paese.
Le opportunità della riapertura del mercato iraniano
D’altro canto, la riapertura dell’Iran alle compagnie straniere si prospetta come uno dei principali driver degli investimenti dell’industria oil&gas mondiale nel lungo periodo, per molteplici ordini di ragioni:
- è uno dei paesi a maggior potenziale di idrocarburi: primo al mondo per riserve metanifere (34.000 mld mc) e quarto per quelle petrolifere (158 mld. bbl). Dati significativi, che per di più scontano decenni di guerre e turbolenze politiche, che ne hanno limitato le attività esplorative;
- presenta costi di produzione tra i più bassi al mondo: stimati tra i 5-10 dollari al barile per i giacimenti offshore e addirittura inferiori ai 5 dollari per quelli onshore; un fattore che risulta di particolare rilevanza in un contesto come quello attuale caratterizzato da basse quotazioni del greggio;
- è intenzionato a rilanciare l’industria petrolifera nazionale raggiungendo un livello produttivo di 4-5 mil. bbl/g entro un decennio;
- ha urgente bisogno di capitali, competenze e tecnologie estere per espandere la sua capacità produttiva ed intende attirarli adottando una nuova formula contrattuale – l’Iran Petroleum Contract – che si prospetta molto più remunerativa e meno rischiosa del modello “buy back” sinora applicato; le compagnie straniere potranno partecipare a tutte le fasi di un progetto upstream, inclusa la produzione, elemento che insieme ad altre e più favorevoli condizioni, potrebbe rivelarsi cruciale nell’agevolare il ritorno delle majors internazionali in Iran;
- è pronto ad assegnare tramite gara 70 progetti, di cui 52 di sviluppo e 18 di esplorazione. Il primo round si terrà immediatamente dopo la rimozione delle sanzioni e riguarderà 6-8 progetti ritenuti ad “elevato potenziale”.
Se l’eliminazione delle sanzioni procederà senza complicazioni, la Repubblica Islamica potrebbe catalizzare buon parte degli investimenti upstream nel prossimo futuro.Tuttavia, dopo decenni di turbolente relazioni con l’industria petrolifera internazionale – quasi tutte le major sono uscite dal paese nel 1979 a seguito della rivoluzione khomeinista - l’Iran dovrà dar prova di grande pragmatismo, dimostrando di saper creare un clima più favorevole agli investimenti esteri, tanto più necessario in un contesto di bassi prezzi come quello attuale.
La rinegoziazione dei contratti secondo criteri più remunerativi e allineati agli standard internazionali rispetto al modello attuale di “buy back” sembra essere un fondamentale passo in questa direzione e potrebbe contribuire a far diventare l’Iran il nuovo “candy store” del petrolio.
Articolo a cura di Rie