Londra, 1 ottobre 2012 – Nuove formule finanziarie, supportate da normative, comunitarie e nazionali, coerenti con l’obiettivo primario di incentivare investimenti privati in porti, mai come oggi, compressi fra l’esigenza di realizzare nuove infrastrutture (in particolare nel settore container) e la carenza ormai cronica di fondi pubblici. E’ questa la parola d’ordine della conferenza su port finance e investment tenutasi nei giorni scorsi a Londra. Il quadro che è scaturito è doppiamente allarmante per l’Italia che rischia una volta di più di partire in grande ritardo rispetto alla concorrenza nord europea (è entrato in questi giorni in funzione il primo mega terminal oceanico per grandi navi porta container, quello di Wilhelmshaven) e mediterranea (A Barcellona è stato inaugurato il nuovo Terminal Catalunya di Hutchison Port Holding e sono stati decisi 100 milioni di investimenti nei terminal esistenti).
“I porti italiani – afferma Luigi Merlo, presidente di Assoporti – chiedono con urgenza al governo di aprire un confronto con l’Unione Europea sia sul tema dei tempi delle concessioni che Bruxelles vorrebbe ridurre, mettendo ovviamente a rischio, la possibilità di attrarre nuovi investitori in banchina, sia sulle regole del gioco che il commissario ai Trasporti Siim Kallas, ha confermato voler riscrivere nell’ottica di una maggiore trasparenza, di certezze per gli operatori e di un ingresso in banchina di soggetti esterni al sistema”.
“E’ un momento delicatissimo – prosegue Merlo – anche perché la dimensione della sfida lanciata dal mercato e dai grandi container operators non consente esitazioni di sorta. E’ per altro significativo come il governo spagnolo e quello della Catalogna, impegnati in un taglio drastico di tutte le spese, abbiano invece incrementato i fondi per la portualità”.
Entro il 2015 alcune fra le maggiori concessioni di terminal portuali in Europa arriveranno al giro di boa del rinnovo, e il clima di incertezza potrebbe mettere a rischio i massicci investimenti che i privati hanno pianificato per i prossimi anni. Per altro sembra inevitabile che nei prossimi anni una consistente svendita di asset portuali (sta già accadendo in Gran Bretagna) destinata a penalizzare ulteriormente i paesi, Italia in primis, che denunciano forti rigidità amministrative e che non hanno generato condizioni di reale autonomia finanziaria.