Claudio Spinaci, presidente dell’Unione energie per la mobilità (Unem) – associazione che raggruppa e rappresenta le principali aziende che operano in Italia nella lavorazione, logistica e distribuzione di prodotti petroliferi e prodotti energetici low carbon e nella ricerca e sviluppo di prodotti innovativi – fa un bilancio dell’anno che sta per chiudersi per poi soffermarsi sulle opportunità e le criticità della transizione energetica e sulle misure nazionali ed europee finora elaborate, sottolineando l’importanza del rispetto del principio della neutralità tecnologica.
A un anno dalla pandemia i consumi petroliferi si stanno riprendendo grazie alla riapertura delle attività industriali, commerciali e del turismo. Come si chiuderà secondo lei il 2021 anche alla luce dei recenti aumenti dei prodotti energetici?
“I consumi petroliferi sono sicuramente in ripresa, ma siamo ancora al di sotto dei livelli pre-Covid. Ci sono prodotti che stanno recuperando più velocemente, mentre altri soffrono ancora il protrarsi degli effetti della pandemia. Tra i primi ci sono benzina e gasolio che negli ultimi mesi hanno progressivamente recuperato terreno avvicinandosi molto ai valori del 2019, non solo per la ripresa delle attività produttive e commerciali, ma anche per un maggiore utilizzo del mezzo privato sia nell’uso quotidiano che nel tempo libero, come conferma un recente sondaggio di Legambiente da cui emerge che l’88% dei cittadini usa mezzi privati per spostarsi. Tra i secondi, c’è il carburante per aerei che invece presenta volumi che sono più bassi di oltre il 60% rispetto al 2019. Stando alle nostre stime, il 2021 dovrebbe chiudersi con un volume complessivo intorno ai 55 milioni di tonnellate recuperando così circa la metà di quanto perso durante la pandemia. Quanto all’aumento dei prezzi dell’energia, temo sia solo un primo segnale degli effetti di politiche prive delle dovute verifiche di sostenibilità ed è per molti versi paradigmatico di quello che potrebbe riservarci il futuro se non gestiamo con estrema attenzione una transizione che avrà ancora bisogno per molti anni delle fonti fossili. Se aumenta la domanda e si riduce l’offerta è evidente che i prezzi sono destinati ad aumentare. È una semplice legge di mercato”.
In Europa si dibatte da mesi sul pacchetto “Fit for 55”. Quali sono le criticità e i rischi per il sistema industriale che potrebbero derivare da questa iniziativa che non considera l’importanza della neutralità tecnologica?
“È proprio questo il punto. Fermo restando l’obiettivo del taglio del 55% delle emissioni di CO2, il pacchetto europeo trascura completamente il principio della neutralità tecnologica, spingendo in un’unica direzione ossia la completa elettrificazione di tutti i consumi, mobilità compresa. In realtà, la vera sfida non è questa, piuttosto quella di produrre sempre più energia da fonti rinnovabili a prezzi competitivi. Perciò è necessario incrementare le risorse in ricerca e sviluppo di tutte le tecnologie disponibili appunto nel rispetto della neutralità tecnologica, che dovrebbe essere il principio cardine di tutte le politiche europee. Il dibattito pubblico invece è tutto incentrato su come incrementare la domanda di energia elettrica, costi quel che costi. In altre parole, siamo impegnati a consumare qualcosa che non sappiamo ancora come produrre in quantità sufficienti ed a prezzi sostenibili. Stando così le cose, credo sia lecito domandarsi se le politiche europee in materia di clima ed energia ci mettano al riparo da brutte sorprese o se ci espongano a rischi che i policy maker non hanno valutato sufficientemente nella loro complessità. Parlando di mobilità, uno degli aspetti più critici è sicuramente la proposta di modifica del Regolamento sugli standard emissivi della CO2 per il trasporto stradale (autovetture e furgoni) che prevede una riduzione dei limiti di emissioni allo scarico oggi in vigore (95 g/km) del 55% al 2030 e del 100% al 2035. Continuare a calcolare le emissioni solo allo scarico e non su tutto il ciclo di vita vuol dire usare un sistema di calcolo tecnicamente sbagliato che non considera correttamente le reali emissioni di agenti climalteranti. Così facendo, altera il confronto tra le diverse tecnologie e, cosa ancora più grave, alimenta forti rischi di delocalizzazione di intere filiere strategiche senza vantaggi concreti sulla riduzione delle emissioni climalteranti globali. Faccio un esempio. Oggi i biocarburanti in termini di energia rappresentano il 10% dei carburanti immessi in consumo, ma la CO2 risparmiata in fase di produzione non viene conteggiata e ciò non permette di valorizzare un prodotto il cui ruolo è centrale nel processo di decarbonizzazione. Questo vale anche per i low carbon liquid fuels (Lclf) che avranno un ruolo fondamentale per il raggiungimento della neutralità carbonica in tutti i comparti del trasporto, soprattutto in quelli “hard-to-abate”, considerato che nel loro ciclo di vita producono un taglio della CO2, rispetto al corrispondente prodotto fossile, che varia funzione della materia prima utilizzata e che con gli e-fuels può arrivare sopra il 90%. In altre parole, qualsiasi autovettura alimentata da Lclf dovrebbe essere considerata ad emissioni pressoché nulle. Speriamo in una correzione di rotta durante l’iter di approvazione del pacchetto”.
La transizione energetica è uno dei pilastri del Piano globale di ripresa e resilienza (Pnrr), puntando molto sulla produzione e la distribuzione di energia, favorendo il ricorso alle fonti rinnovabili e allo sviluppo della filiera idrogeno. Ci può indicare quali sono le opportunità e le criticità per la filiera petrolifera all’interno del Piano e quali iniziative state portando avanti come Unem?
“Il nostro è un settore in profonda trasformazione che ha scommesso sul futuro ed è per questo che gli interventi sulla legislazione comunitaria in questa fase sono fondamentali per accompagnare la filiera sulla via della decarbonizzazione. Le raffinerie cambieranno progressivamente la loro struttura produttiva, orientandosi sempre più verso la produzione di low carbon fuels. La materia prima petrolio sarà sostituita da feedstocks di origine biologica o carbon neutral, integrati con tecnologie di economia circolare (Waste to Oil, Waste to Chemicals). A tale proposito credo sia rilevante l’attività che abbiamo avviato, in collaborazione con Innovhub (Stazioni sperimentali per l’industria) e il Politecnico di Milano, per uno studio di fattibilità per la realizzazione di un impianto dimostrativo per la produzione di carburanti sintetici al fine di poterne valutare al meglio i processi produttivi, le caratteristiche chimico-fisiche ed utilizzarli in prove sperimentali su strada. La prima fase dovrebbe concludersi entro la fine dell’anno per poi passare quanto prima alla seconda che è quella di realizzare un impianto pilota. È evidente che una tale trasformazione ha bisogno di un supporto a livello istituzionale per individuare scenari di transizione condivisi, pragmatici e senza preclusioni ideologiche, che permettano alle diverse filiere industriali coinvolte di investire, sviluppare a trasformarsi. Senza questa condivisione l’intero comparto subirà una rapida involuzione strutturale con gravi danni sulla sicurezza dell’approvvigionamento del Paese e sull’economia dei territori”.