Livorno: Antonio Lozzi alla Festa del Mare per presentare ”Codici e consuetudini nella storia del commercio marittimo”

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Pirateria, sicurezza, finanza: gli eterni problemi del commercio via mare. Intervista con Antonio Lozzi alla Festa della Marineria per presentare “Codici e consuetudini nella storia del commercio marittimo” (Auditorium del mare, Passeggiata Morin – venerdì 4 ottobre ore 17,00)

«Migranti buttati in mare a frustate e lasciati annegare: dietro le cronache di questi giorni si può intravedere un passato lontano in cui venivano sacrificate le merci meno preziose e più pesanti per salvare la nave o il carico di valore. Quasi sempre venivano sacrificati gli schiavi. Oggi gli scafisti buttano i migranti in acqua per cercare di salvare se stessi. Una pratica barbara, nell’accezione letterale del termine, perché già sotto l’impero romano era stata vietata ma poi venne ripristinata dalle popolazioni barbariche alla caduta di Roma. Siamo tornati a quel punto”, così Antonio Lozzi, capitano di lungo corso e esperto di commercio marittimo, manager della PBtankers, commenta le recenti tragedie del mare nel canale di Sicilia.

Lozzi presenterà alla Festa della Marineria della Spezia la sua opera, «Codici e consuetudini del storia del commercio marittimo» (Mursia) nella quale ha passato in rassegna quasi quattromila anni di storia di commercio via mare, dal codice di Hammurabi al Regno d’Italia.
Attualmente quasi il 80% del commercio mondiale viaggia via mare ma ci sono problemi che attraversano i secoli; pirateria, sicurezza, finanza.

D. – Sono passati i millenni ma sembra esserci una continuità di problemi nel commercio marittimo. La pirateria ad esempio. Nel suo libro lei racconta che già i romani garantivano la sicurezza delle navi imbarcando dei mercenari. Oggi invece?

Lozzi – Oggi si usano i contractor, soldati privati alle quali viene affidata la sicurezza delle navi. Cambiano i nomi ma i problemi e le soluzioni sono simili. Nel corso dei secoli gli armatori hanno sempre cercato di garantire la sicurezza del traffico marittimo, anche a costo di trattare con i predoni. Prendiamo la Repubblica di Genova, ad esempio. Nel XV secolo fece un accordo con i pirati saraceni: libertà di transito per le navi genovesi in cambio di libertà di saccheggio delle coste. I genovesi fecero poi un ulteriore affare: vendettero la bandiera agli inglesi che così potevano passare indenni.

D. – Tra le consuetudini che sono andate perdute c’è quella dello ius naufragi, ovvero la possibilità per le popolazioni costiere di impossessarsi delle merci dopo i disastri. Oggi invece per il recupero del relitto della Costa Concordia si fanno cordate internazionali.

Lozzi – Nell’antichità quasi il 50% delle navi che partivano non arrivavano e lo ius naufragi era, paradossalmente, una risorsa per le popolazioni di terra che a volte non si facevano scrupolo di ingannare le navi con false segnalazioni per provocare il disastro. Ancora una volta furono i romani, interessati a salvaguardare le merci che dovevano arrivare a Roma, a emanare leggi che vietavano queste pratiche.
Il caso del relitto della Costa Concordia può essere letto anche come una variante moderna dello ius naufragi. È indubbio che il recupero della nave sia stato un formidabile business per tantissime imprese, da quelle che noleggiano i rimorchiatori, a quelle che smaltiscono i rifiuti. Molti hanno guadagnato e guadagneranno da questo naufragio. Le uniche vittime sono le persone che hanno perso la vita.

D. – Oggi la percentuale delle navi che non arrivano a destinazione è minima. Più sicurezza e meno rischio hanno cambiato i meccanismi commerciali?

Lozzi – In realtà no. Il problema dei rischi del commercio marittimo è una costante della storia, al punto da aver determinato nel lontano passato la nascita dei “futures”, in pratica contratti di compravendita a scadenza che fissavano prima il prezzo delle merci. Era una formula che a lungo ha garantito gli armatori, che vendendo preventivamente la merce si tutelavano dai rischi, e gli acquirenti, che potevano prezzi più bassi perché si accollavano una parte del rischio. Meccanismi di questo tipo sono ancora alla base delle transazioni odierne. Il vero problema è che nel frattempo i “futures” sono diventati speculativi, la finanza creativa se n’è impossessata e ne ha fatto uno strumento scollegato dalle merci. Speculazione pura, più rischiosa di qualsiasi viaggio in mare

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