Mediterraneo: più di 5 milioni di anni fa un “gigante salino” ha radicalmente rimodellato la sua biodiversità

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Lo studio internazionale coinvolge anche l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS

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La ricerca, pubblicata su Science, ha quantificato la perdita di biodiversità nel Mar Mediterraneo e il successivo recupero biotico

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Trieste, 30 agosto 2024 – Un nuovo studio appena pubblicato sulla rivista Science fa luce sugli impatti e il recupero della biodiversità della crisi ecologica avvenuta nel Mar Mediterraneo circa 5,5 milioni di anni fa. Un team internazionale, guidato dall’Università di Vienna e a cui hanno preso parte 25 istituti in tutta Europa, tra cui anche l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS, è stato in grado di quantificare l’impatto della salinizzazione del Mediterraneo sul biota marino quando solo l’11% delle specie endemiche è sopravvissuto alla crisi e la biodiversità non si è ripresa almeno per altri 1,7 milioni di anni.

I movimenti litosferici nel corso della storia della Terra hanno ripetutamente portato all’isolamento dei mari regionali dagli oceani mondiali e a massicci accumuli di sale. Si tratta di veri e propri “giganti di sale” di migliaia di chilometri cubi ritrovati dai geologi in Europa, Australia, Siberia, Medio Oriente e altrove. Questi accumuli di sale rappresentano preziose risorse naturali e sono stati sfruttati dall’antichità fino a oggi nelle miniere di tutto il mondo (ad esempio nella miniera di Hallstatt in Austria, nella miniera di sale di Khewra in Pakistan o nelle miniere di sale della Sicilia).

“Il gigante di sale del Mediterraneo, scoperto per la prima volta all’inizio degli anni ’70, è uno strato di sale spesso mediamente un chilometro ora sepolto sotto i sedimenti del fondale del Mar Mediterraneo.  Si è formato circa 5,5 milioni di anni fa a causa della graduale disconnessione tra l’Atlantico e il Mediterraneo a Gibilterra, durante la cosiddetta crisi di salinità del Messiniano (l’ultimo piano geologico del Miocene, 7.2 -5.3 milioni di anni fa)” spiega Angelo Camerlenghi, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS, che da anni si occupa di studiare il fenomeno. “Questo studio dimostra l’importanza della sinergia tra ricercatori di diverse discipline. Sulla base delle indagini geologiche e geofisiche è stato possibile identificare la dimensione dell’evento della crisi di salinità messiniana che ha permesso a paleontologi e paleoecologi di quantificare la resilienza delle specie biologiche a una perturbazione ambientale alla scala di tutto il Mediterraneo”.

L’enorme impatto sulla biodiversità marina

Dopo diversi decenni di scrupolose ricerche sui fossili datati da 12 a 3,6 milioni di anni rinvenuti sulla terraferma nei paesi peri-mediterranei e in carote di sedimenti di acque profonde, il team ha scoperto che quasi il 67% delle specie marine nel Mar Mediterraneo dopo la crisi erano diverse da quelle pre-crisi. Solo 86 delle 779 specie endemiche (che prima della crisi vivevano esclusivamente nel Mediterraneo) sono sopravvissute all’enorme cambiamento delle condizioni di vita dopo la separazione del Mediterraneo dall’Atlantico. Il cambiamento nella configurazione dell’attuale stretto di Gibilterra, che portò alla formazione del gigante di sale stesso, provocò brusche fluttuazioni di salinità e temperatura, ma cambiò anche i percorsi migratori degli organismi marini, il flusso di larve e plancton e perturbò i processi centrali dell’ecosistema. A causa di questi cambiamenti, gran parte degli abitanti del Mediterraneo di quel tempo, come i coralli tropicali che costruivano barriere coralline, si estinsero. Dopo la riconnessione con l’Atlantico e l’invasione di nuove specie, come il grande squalo bianco e i delfini oceanici, la biodiversità marina del Mediterraneo ha presentato un modello nuovo, con il numero di specie in diminuzione da ovest a est, come avviene oggi.

Il recupero ha richiesto più tempo del previsto

Poiché i mari periferici come il Mediterraneo sono importanti punti caldi della biodiversità, era molto probabile che la formazione dei giganti di sale nel corso della storia geologica avesse avuto un grande impatto, ma finora non era stato quantificato. “Il nostro studio fornisce ora la prima analisi statistica di una crisi ecologica di tale portata”, spiega Konstantina Agiadi del Dipartimento di Geologia dell’Università di Vienna. Inoltre, quantifica anche per la prima volta i tempi di recupero dopo una crisi ambientale marina, che in realtà è molto più lungo del previsto: “La biodiversità in termini di numero di specie si è ripresa solo dopo più di 1,7 milioni di anni”, dice Agiadi. I metodi utilizzati nello studio forniscono anche un modello che collega la tettonica delle placche, la nascita e la morte degli oceani, il sale e la vita marina che potrebbe essere applicato ad altre regioni del mondo.

Gli studi dell’OGS

Dal più 30 anni l’OGS studia da un punto di vista geologico e geofisico la crisi di salinità messiniana e la successiva alluvione Zancleana, la più grande alluvione conosciuta nella storia del pianeta terra, che ha messo fine al periodo durante il quale il Mar Mediterraneo si trasformò in un gigantesco lago salino a causa del restringimento della sua connessione con l’Oceano Atlantico e dell’intensa evaporazione.

“Negli ultimi anni grazie al coordinamento di una COST Action (Uncovering the Mediterranean salt giant e alla partecipazione a un Marie Skłodowska-Curie European Training Network i ricercatori dell’OGS hanno contribuito alla formazione di network di ricerca di cui fanno parte numerosi studenti di dottorato e ricercatori di post-dottorato che hanno dato un fondamentale nuovo impulso alla ricerca scientifica su uno straordinario e affascinante evento naturale che ha influenzato il clima, gli ecosistemi, l’assetto geologico ed il paesaggio dell’area mediterranea.

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