Amburgo: L’ ITLOS come Ponzio Pilato,non decide sui due maro’.Rimanda tutto al Tribunale dell’Aja

itlos sentenza

Amburgo, 24 agosto 2015 – Queste sono le versioni presentate al Tribunale:

La versione indiana

Secondo la versione indiana, alle 16:30, ora indiana, del 15 febbraio 2012, il peschereccio St. Antony lancia l’allarme alla Guardia costiera indiana riportando di essere stato investito da colpi di arma fuoco e descrivendo sommariamente l’imbarcazione dalla quale provenivano gli spari. La Guardia costiera comincia le indagini[ e identifica quattro navi nell’area in cui si è svolto l’incidente: l’Enrica Lexie, la Kamome Victoria, la Giovanni e la Ocean Breeze. Verso le 19:00 le quattro navi vengono contattate via radio dalla Guardia costiera che chiede loro se siano state oggetto di attacchi. Una quinta nave, la Olympic Flair, che batte bandiera greca e che in precedenza ha correttamente riportato alle autorità indiane di aver subito un attacco pirata (circa un’ora dopo l’incidente fra il St. Antony e la Enrica Lexie), attacco sventato senza soffrire danni e senza aver dovuto far uso di armi da fuoco, non viene contattata, anche se la nave assomiglia per sagoma e colorazione alla petroliera italiana; la nave greca si trova all’ancora al largo di Kochi e successivamente entra in porto.

Fra le 4 navi contattate dalla Guardia costiera indiana, l’unica che risponde affermativamente circa l’aver subito attacchi è l’Enrica Lexie. La nave italiana non ha fatto rapporto alle autorità indiane riguardo all’attacco subito, ha riportato il fatto solo dopo essere stata interrogata in merito, contravvenendo ai regolamenti che impongono di fare immediato rapporto in caso di attacco pirata, e si è allontanata di circa 39 miglia lungo la propria rotta verso l’Egitto senza avvertire nessuno. Su questo punto, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dei marò, il giudice dell’Alta Corte del Kerala affermerà poi che «non è stato prodotto nessun documento per dimostrare che i marò, prima di sparare ai pescatori, abbiano almeno comunicato al comandante della nave il pericolo di un attacco pirata, o che il comandante abbia annotato il fatto sul registro di bordo. Inoltre non esiste nessun documento a supporto dell’argomento di difesa che il comandante abbia attivato lo Ship Alert Security System o che alcun segnale sia stato trasmesso all’IMRCC, alla Mercury Chart o a qualunque Marina nel mondo»[20] — Lo Ship Alert Security System (SSAS) è un sistema d’allarme che invia automaticamente una segnalazione all’Italian Marine Rescue and Coordination Centre di Roma (IMRCC), mentre la Mercury Chart mette in contatto e trasmette informazioni alla comunità navale mondiale, comprese diverse Marine impegnate nella lotta antipirateria, e alla stessa Marina indiana — La Guardia costiera indiana intima all’Enrica Lexie di tornare indietro e ordina ai pattugliatori Samar, Kochi e Lakshmibai e a un aereo Dornier Do 228 da ricognizione marittima di ricercare la nave italiana, intercettarla e condurla in porto.

Secondo i rapporti degli inquirenti indiani, la testimonianza del comandante e proprietario del St. Antony, Freidy (a volte indicato anche come “Freddie Louis” o “John Freddy” e, sulla stampa italiana, come “Freddy John Bosco”), e degli altri membri dell’equipaggio e le conclusioni dell’Alta Corte del Kerala, l’imbarcazione indiana non era un battello dedito alla pirateria ma era impiegata in normali operazioni di pesca; era partita per la pesca al tonno da Neendakara il 7 febbraio; l’attacco al St. Antony sarebbe stato ingiustificato in quanto non vi erano armi a bordo dell’imbarcazione. Nessuno fece fuoco contro la nave italiana e l’equipaggio del St. Antony non poteva essere scambiato per pirati. Inoltre, la petroliera italiana, avendo una velocità massima di 18÷20 nodi, poteva facilmente distanziare il St. Antony, la cui velocità massima non eccedeva i 10 nodi, per cui un eventuale attacco pirata avrebbe potuto essere scongiurato senza far ricorso alle armi. C’erano 11 persone a bordo dell’imbarcazione; eccetto due, tutte le altre dormivano quando i marò italiani aprirono il fuoco contro la barca, sparando con fuoco continuo per circa due minuti; una delle vittime, Valentine, era al timone quando venne colpita a morte, mentre l’altra, Ajeesh Pink, era a poppa quando venne ferita mortalmente. Il peschereccio indiano era a 200 metri dalla petroliera ed era in attesa che questa sfilasse via quando fu investito dai colpi sparati dai militari italiani. Per gli inquirenti indiani i colpi sono stati esplosi con l’intenzione di uccidere e sul St. Antony sono stati rinvenuti 16 fori di proiettile.

La versione italiana

Secondo la versione del governo italiano, e secondo il rapporto consegnato dall’equipaggio della petroliera sia alle autorità indiane sia a quelle italiane — poiché entrambi i paesi hanno aperto un’inchiesta sull’incidente — il 15 febbraio 2012 alle 12:18 ora italiana, la Enrica Lexie viene avvicinata da un’imbarcazione da pesca, con a bordo cinque persone armate con evidenti intenzioni di attacco. I sei militari del battaglione San Marco, a bordo della petroliera italiana come forza di protezione (NMP) contro possibili attacchi pirata, mettono in atto, in accordo con le regole d’ingaggio previste, “graduali azioni dissuasive” contro un “naviglio” sospettato di ospitare pirati, man mano che l’imbarcazione sospetta si avvicina (inclusi i “segnali luminosi” che rappresentano un codice di comunicazione tra navi necessario per identificarsi a distanza in acque ad alto rischio pirateria) fino a sparare in acqua tre serie di colpi d’avvertimento a seguito dei quali il natante cambia rotta.

Secondo la memoria consegnata all’Alta Corte del Kerala dai difensori di Latorre e Girone, il comandante della nave italiana, Umberto Vitelli, mette in atto la procedura antipirateria prevista, prima che i marò stessi prendano posizione e ingaggino i presunti pirati, incrementando la velocità della nave da 13 a 14 nodi e attivando le sirene e le luci di allarme; dopo di che il comandante attiva lo Ship Security Alert System. Il comandante riporta l’incidente sulla Mercury Chart; stila un “rapporto militare” (che è una comunicazione ufficiale inviata da una nave alle autorità del proprio Stato di bandiera e alla Guardia costiera e Marina militare dello Stato costiero) e invia un altro rapporto al Maritime Security Center Horn of Africa nel Regno Unito. Dopo aver respinto l’attacco, la nave riduce la velocità a 13 nodi e continua lungo la rotta prestabilita. Il comandante Umberto Vitelli avverte la società armatrice della nave che provvede a sua volta a informare la magistratura italiana, poiché la Enrica Lexie si sta muovendo in acque internazionali.

Alle 15:00 ora italiana, la petroliera, mentre si trova in acque internazionali a 38 miglia nautiche dalla costa indiana, viene contattata via radio dall’MRCC (Marine Rescue and Coordination Centre - Centro di coordinamento del soccorso marittimo) di Mumbai (Bombay). Le autorità indiane comunicano alla Enrica Lexie di avere fermato un’imbarcazione coinvolta nell’evento e chiedono, “con un evidente sotterfugio”, al comandante della Enrica Lexie di dirigersi verso il porto di Kochi per “contribuire al riconoscimento di alcuni sospetti pirati”. Alle ore 15:30, il Comando operativo interforze della Difesa (COI) riceve dai marò a bordo della Lexie la comunicazione che la compagnia armatrice ha deciso di accogliere la richiesta indiana, autorizzando la deviazione di rotta. A seguito di tale comunicazione il comandante della Squadra navale (CINCNAV) e il COI non avanzano “obiezioni, in ragione di una ravvisata esigenza di cooperazione antipirateria con le autorità indiane, non avendo essi nessun motivo di sospetto”. Quindi, il comandante Umberto Vitelli inverte la rotta per venire in contatto con la guardia costiera indiana, da cui la nave viene scortata nella rada di Kochi, nelle acque territoriali indiane, dove attracca il 16 febbraio alle ore 17:48 circa.Solo al momento dell’attracco a Kochi il comandante della nave italiana viene informato delle indagini in corso riguardo alla morte di due pescatori indiani a bordo della nave St. Anthony, morte che secondo le autorità indiane è stata causata dai colpi di arma da fuoco sparati da bordo della petroliera italiana. In seguito avviene la consegna dei marò alla polizia indiana a causa di “evidenti, chiare, insistenti azioni coercitive indiane”

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