Da Assoporti nuovi elementi di riflessione sulla portualità

porto napoli 2 (2) mare mosso

Gia’ poco prima che iniziassero i lavori, tra le centinaia di persone in sala si era sparsa la notizia che il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, anche quest’anno non sarebbe intervenuto all’Assemblea generale delle Autorità portuali. Oltre nell’immediato a liberare qualche seduta per i molti rimasti in piedi, il passa parola sull’assenza del Ministro ha prodotto un alone di scoramento e di sconcerto generale che ha attratto molta attenzione, sottraendo, purtroppo, la riflessione da alcuni elementi di cambiamento inaspettati, che invece meritavano di essere colti.

Il primo aspetto riguarda la presenza e l’intervento del Segretario Generale dell’ESPO (European Sea Ports Organization) Patrick Verhoeven, che al di là dei contenuti, ha dato un senso di appartenenza europeo ai porti italiani e alle Autorità portuali che li governano ed un significato identitario unitario che mitiga la percezione di alterità o più semplicemente di concorrenzialità con il resto dei porti soprattutto nordeuropei, prospettando l’orizzonte di muoversi e confrontarsi in un medesimo universo portuale, che pur nelle sue mille differenze e sfaccettature, costituisce uno dei principali sostegni commerciali e industriali del sistema economico europeo. Verhoeven ha presentato i risultati del Fact finding Report 2010 sulla governance dei porti, basato un questionario volontario a cui hanno risposto 116 Autorità portuali di 22 paesi comunitari e 4 limitrofi che gestiscono un totale di 216 porti. L’elemento di novità è il focus sulle Autorità portuali, soggetti capaci di lavorare nella comunità portuale come tra gli stakeholder esterni, e quindi elementi deputati alla renaissance della portualità europea, che l’evoluzione in corso richiede. Oltre alla conferma che ci si poteva aspettare, di una differenza generale tra porti anseatici,-anglosassoni e latini, il quadro emerso fa luce sulla grande varietà in corpo ad ognuna di queste categorie regionali – in termini dimensionali e funzionali su cui sono costruite modulazioni diverse di governance portuali – ricordandoci anche che la portualità EU non è fatta solo di Rotterdam, Anversa o Amburgo.

È anche emerso che le regioni che hanno adottato modelli di governance centralizzata, in cui il ruolo dello Stato è molto forte, cercano di diventare più autonome, mentre viceversa le Regioni che assegnano una governance ai porti più autonoma e localistica, principalmente comunale, mostrano un’inversione di tendenza sottoforma di richiesta di maggiore cooperazione tra porti vicini. In questo senso la posizione sovranazionale dell’UE può avere un ruolo armonizzatore, secondo Verhoeven, incoraggiando, nel lungo periodo, a rendere più sottili le differenze. Le AP contemporanee esprimono principalmente una funzione landlord, esplicata con la possibilità di concedere aree a terzi che costituisce anche lo strumento principale di governance a disposizione. Anche il sistema dei porti di proprietà e gestione privata che interessa soprattutto i grandi porti anglosassoni contraddistinti dalla massimizzazione dei profitti, presentano delle rigidità per la gestione totalmente indipendente dal contesto territoriale in cui sono insediati.

Un altro segnale è stato l’intervento di Sergio Bologna, che ha introdotto scientificamente il tema della finanziarizzazione nel settore dello shipping che spiega come mai le compagnie soprattutto del settore portacontainer tendono a difendere la quota di mercato piuttosto che la redditività dell’attività, motivate anche dall’importanza delle quote di mercato attribuita dalle banche nella negoziazione del credito (sebbene -mi perdoni Bologna per l’ardire – aggiungerei la considerazione che tale comportamento è coerente con un equilibrio oligopolistico che si è strutturato negli anni specialmente nel settore container). La logica dell’azzardo tende a soppiantare quella economica in un quadro di instabilità verso cui le compagnie sono incapaci di cambiare modello di business. Specularmente anche nei porti il tentativo di introdurre logiche finanziarie speculative è molto forte. Tuttavia nella portualità anche un settore ad elevato grado di maturità, come quello container, sfugge alle teorie economiche classiche, perchè un servizio vi assume valore anche in virtù della posizione geografica del porto stesso.

Ne consegue, e questo è un elemento di riflessione, che si possono fare buoni guadagni anche con terminal piccoli o medio piccoli – da 50.000 ad 1,5 mil di capacità teu – ma a condizione che si sia disposti ad investire in equipment, informatica, formazione, sicurezza e qualità del servizio, come richiede un settore tecnologicamente maturo. Ne risulta che i porti italiani debbano guardare alla terra piuttosto che al mare, sviluppando l’attività di catching area tenendo presente le regioni europee e quelle inframediterranee che registrano un interscambio in crescita con il nostro paese.

Poi la relazione del Presidente Francesco Nerli con un primo e immediato elemento di riflessione: il totale oscuramento ed esclusione dalla argomentazione del Piano della Logistica, ed un suo disconoscimento implicito nel respingere la titolarità di formulazione ad organi consultivi e parzialmente rappresentativi. Il secondo la riforma della 84/94 non è stata mai menzionata se non in brevi passaggi per corroborare elementi ripresi anche dai Disegni di legge in Parlamento. Un altro dato politico che merita considerazione è stato offerto dall’introduzione nella relazione di un quadro strategico nazionale per il settore portuale, basato su un disegno non-teorico “che indichi priorità, valenze, opportunità e compatibilità per aree geografiche su vasta scala, in modo da offrire un riferimento alla pianificazione territoriale delle Regioni, degli enti locali ed a quella dei porti, che è compito delle AP”. Questo per indirizzare gli investimenti verso progetti concreti di sviluppo dei traffici – con concreti e attendibili piani di impresa, con effettivo radicamento nel porto e con alti livelli qualitativi di servizio offerto – ed impedire le speculazioni di breve periodo nel mercato portuale che gli operatori finanziari stanno cercando di introdurre.

Questo introduce un salto di qualità nel ragionamento portuale italiano che è il terzo elemento, il più importante di questa assemblea anche in termini culturali, che merita riflessione. Implicitamente, entrano a pieno titolo esperienze di collaborazione regionale tra AP, come il NAPA, cambiando il senso della competizione tra i porti italiani, che si prospetta per aree e non più tra singoli porti, con una distribuzione proporzionale interna dei traffici governata attraverso la qualità dei servizi. Di conseguenza cambia il significato delle AP, che potrebbero diventare soggetti decisivi per la regolazione di mercato, nel senso di favorire l’attività dell’impresa privata portuale in un’ottica di economia reale e non di creazione di valore virtuale. Significa un nuovo e diverso ruolo economico del porto che in Italia rappresenta un salto e non semplice evoluzione, una ricerca razionale di armonia con il nostro tessuto produttivo, uno dei più importanti e singolari in Europa, e con quello dei consumi (la Sicilia ad esempio è purtroppo in grave deficit sotto l’aspetto imprenditoriale, ma è abitata da circa 6 milioni di consumatori); un pensare e un riflettere su una riconversione strutturale del porto in creatore di opportunità economiche sostenibili.

Giovanna Visco

giovannavisco@alice.it

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