Dopo un paio di settimane da Fukushima, mentre cinesi spaventati facevano man bassa di sale credendo erroneamente che lo iodio potesse proteggerli dall’avvelenamento radioattivo, Hong Kong individuava solertemente a 5 Km a Sud dell’isola di Lamma lo spazio acqueo dove posizionare le navi da accertare o in quarantena (perchè partite da zone entro gli 80 Km da Fukushima), dopo la richiesta di visita sanitaria a bordo ad un ospedale locale dei 27 membri equipaggio della Moliere di CMA CGM, in panico per aver scalato Yokohama proprio il giorno del disastro. Diverso esito invece per la MOL Presence, trattenuta a Xiamen per un livello eccessivo di radioattività; mentre un’altra portacontainer, proveniente da Tokyo e passata a 124 km di distanza dalla Prefettura di Fukushima, veniva respinta per un livello appena percettibile di contaminazione del ponte principale e di contenitori. La risposta generale delle compagnie internazionali e di alcuni governi è stata di assoluta prevenzione al rischio anche minimo di esposizione. Le scelte fatte sono state dall’evitare Tokyo Bay (cioè i porti di Tokyo e Yokohama) alla raccomandazione del governo tedesco di ormeggiare le navi ad una distanza di almeno 100 km (62 miglia) da Fukushima.
La preoccupazione motivata della contaminazione ha generato nello shipping internazionale congestionamenti, cambi di rotta e nei casi peggiori detenzioni, ma ha anche scongiurato il pericolo di una crisi economica del settore, alla luce di quanto sottolineato in una nota Reuters, sulla assenza di copertura assicurativa dei trattamenti sanitari degli equipaggi contaminati e di contenitori e carichi contaminati. Un nervo scoperto che genera ulteriore isolamento commerciale a chi già è nel dramma come la popolazione giapponese.
A Long Beach i lavoratori portuali hanno chiesto ed ottenuto controlli manuali della Guard Coast a bordo delle navi prima che siano troppo vicine al porto. D’altra parte, la Cina ha rilevato livelli di radioattività superiori alla soglia consentita sulle proprie navi in navigazione ad 80 miglia dall’area di Fukushima.
Si è aperto, dunque, un problema che non riguarda solo le importazioni dal Giappone (alimenti, auto, ecc.), che tra l’altro in Europa sono piuttosto modeste (nel 2010 circa 527.000 Teu sui 13,5 milioni complessivi di Asia-UE), ma anche mezzi, carichi e persone che semplicemente attraversano le zone contaminate. La prevenzione è certamente l’unica risposta possibile, che i porti europei hanno approcciato applicando il codice di sicurezza internazionale introdotto per navi e porti dopo l’attacco alle torri gemelle, che prevede la lista degli ultimi 10 porti scalati dalla nave, oltre ai controlli detector.
Dall’11 marzo solo agli inizi di aprile è giunta in Europa, a Felixstowe, la prima nave dal Giappone, la Carsten Maersk, che dopo accurata ispezione è risultata nella norma. I controlli a bordo sono particolarmente scrupolosi su quelle parti che più probabilmente possono essere toccate dalle persone durante le operazioni portuali, per prevenire soprattutto la contaminazione via assorbimento di pelle o lingua di particelle radioattive.
Sui prodotti alimentari provenienti dal Giappone la Francia ha optato per il 100% dei controlli (l’EU ne raccomanda il 20%), mentre il porto di Rotterdam nei 5 giorni prima di Pasqua ha ispezionato 4 portacontainer e 1 con-ro partite dal Giappone dopo il 14 marzo (risultate tutte nella norma) e, nonostante la consapevolezza che il rischio di contaminazione radioattiva resti estremamente basso, ha disposto l’ispezione di tutte le navi fino al I maggio, mentre successivamente valuterà caso per caso, escludendo quelle che risultino già ispezionate in un altro porto.
L’Italia, che, da dati Coldiretti, ha un’importazione di prodotti alimentari dal Giappone molto modesta (nel 2010 ha fatturato 13 milioni di euro, pari allo 0,03% dell’import agroalimentare nazionale) sta applicando le disposizioni doganali comunitarie per i controlli sanitari su tutti i prodotti alimentari provenienti dal Giappone. A livello generale, in Europa resta aperta la questione della ricerca di siti extraportuali per i container contaminati e di procedure uniformi che evitino distorsioni della concorrenza tra porti. Resta un grande interrogativo: ciò che eccede i limiti radioattivi consentiti, va reimbarcato oppure no?
Giovanna Visco