Palazzo della Borsa, Sala delle Grida– Camera di Commercio di Genova
Genova, 25 marzo 2013 – “Economia e mare:………la logica è fare”. Dopo la grave crisi che ha investito l’economia mondiale nel biennio 2008-2009 e la ripresa del 2010, la spinta propulsiva di recupero dell’economia mondiale è andata progressivamente affievolendosi nel corso del 2011, sino a perdersi nel 2012.Nella seconda metà del 2012 l’andamento dell’economia mondiale è rimasta debole, ed anche nel 2013 la ripresa, a detta degli analisti internazionali, rimarrà fragile e caratterizzata da un’ampia eterogeneità tra aree e paesi. Solo nel 2014 si vedrà, con ogni probabilità, un’espansione del prodotto mondiale.
La fase recessiva della economia italiana ha seguito l’andamento europeo, nel secondo semestre dello scorso anno, attenuandosi solo verso la fine del 2012. Allo stato non emergono ancora segnali di una inversione ciclica nei mesi iniziali del 2013. La produzione industriale, importante termometro per chi come gli spedizionieri internazionali offrono servizi di trasporto e logistica, ha continuato a contrarsi, sebbene a ritmi meno intensi nella seconda metà del 2012.
Il clima di generale incertezza, la contrazione dei consumi ed il rallentamento di gran parte delle economie mondiali ha fatto sentire tutto il suo peso anche nel settore dello shipping e delle spedizioni.
A testimoniarlo sono i dati forniti dallo Shanghai Container Freight Index dove, con riferimento al bacino del Mediterraneo, viene evidenziato un ulteriore rischio di contrazione, per il prossimo semestre, delle rate di nolo sia Container Freight che Forward ..
Ma non solo. La contrazione della domanda di stiva ha innescato sia un crollo della quotazione dei noli che pericolosi meccanismi di natura finanziaria dovuti all’enorme indebitamento di tutte le principali compagnie mondiali e causato, anche, da un eccesso di stiva che sta costringendo gli armatori a viaggiare con il 60% della capacità utilizzata.
Nel 2011 le perdite delle compagnie marittime sono state stimate in 6 miliardi di dollari e l’indebitamento è raddoppiato rispetto al 2007 toccando i 90 miliardi di dollari (escluse le perdite operative). Dati questi che hanno cominciato a preoccupare il settore bancario fortemente esposto dati congiunturali sul trasporto delle merci in Italia confermano il trend negativo del settore sebbene in misura inferiore rispetto al calo registrato nel corso del 2011. Si registra infatti una riduzione dei volumi in tutti i comparti del trasporto (fatta eccezione per il settore dei courier e delle spedizioni via mare trascinate dall’export) in particolare: – 5.6 per cento del traffico ferrovia (Tonnellate/Km); – 4.9 per cento del traffico aereo (tonnellate); – 4.1 per cento delle rinfuse e – 7.4 per cento del traffico ro-ro per quanto concerne il traffico via mare.
Pesanti e preoccupanti anche i dati sui tempi medi di pagamento che, nel settore del trasporto, salgono a 87 giorni, con punte che superano i 120 giorni, ed ancor più negativi i dati legati alle insolvenze rispetto al fatturato che crescono del 6,1 per cento. Sempre più difficile , soprattutto per le aziende poco capitalizzate, l’accesso al credito. Difficilissima la situazione delle aziende del settore che hanno nel proprio portafoglio clienti le grandi aziende “di Stato” dove la sofferenza per pagamenti supera anche i 180 giorni !!!!!!
Nonostante un quadro generale a tinte fosche,in Italia i servizi alla merce, catalogati genericamente sotto la voce logistica, quotano oggi circa 200 miliardi di euro, rappresentando, a dati 2012, il 13% del PIL. Tra dipendenti diretti, indiretti ed indotto allargato, questi servizi danno lavoro ad 1 milione di persone.
Ciononostante in Italia si continua ad ignorare colposamente l’importanza del settore della logistica mentre in tutte le principali economie del mondo si scommette ed investe in infrastrutture, in economia del mare e logistica, per sostenere sviluppo ed occupazione.Eppure anche in Italia, a fronte di una stagnazione della domanda interna, il totale delle esportazioni è stato di circa 400 miliardi di euro (oltre il 25% del PIL).
Nonostante questi significativi dati, che indicano l’enorme importanza di questo settore e la sua strategicità per l’economia Nazionale, tutti i principali indici internazionali collocano l’Italia in posizioni di retroguardia rispetto a questo tema. Così è per il Global Connedness Index che, misurando la capacità di penetrazione commerciale di un paese rispetto ai mercati internazionali, colloca l’Italia solo al 28° posto nella classifica dei 125 paesi analizzati, ed al 18° posto in quella dei 38 paesi europei (UE e non UE).
Significativo anche il fatto che dal 2005 ad oggi l’Italia abbia realizzato un totale di 14 riforme istituzionali o normative, riguardanti diversi settore dell’impresa, ma nessuna inerente il settore della logistica o del commercio transfrontaliero.
Il Sistema Italia, la Liguria e Genova devono assumere una decisa presa di posizione su almeno tre temi : a) forte sostegno alle politiche di investimento in infrastrutture, in grado di generare importanti leve occupazionali; b) semplificazione normativa e dei controlli amministrativi, che renda più certo l’operare delle imprese; c) politica fiscale ed impositiva che sostenga il settore e sia in grado di attrarre, come avviene in ogni parte del mondo, investimenti esteri.
Nell’ottobre del 2010 in piena recessione, il Presidente Obama annunciò un “Bold Plan” per rilanciare l’economia e l’occupazione americana attraverso un rapporto dettagliato del Dipartimento del Tesoro gli Stati Uniti decidono un piano di investimenti per 50 miliardi di dollari, in sei anni, e la creazione di una National Infrastructure Bank.
Dati alla mano gli ingenti investimenti, hanno portato ad una crescente riduzione della disoccupazione negli USA e ad una capacità di questo Paese a saper far fronte ad una crisi latente con una crescita del PIL del 2,2% nel 2012, ed un risparmio stimato per famiglia di oltre 6 mila dollari/anno.
Scelte simili sono state compiuti in questi anni anche da c.d. “Paesi BRICS” dove si è assistito ad un incremento delle c.d. “PPI”, ossia, Private Participation in Infrastructure, così come l’incremento delle politiche di Pubblic and Private partnership (PPP) hanno consentito a questi paesi di chiudere un 2012 con dati di crescita del PIL sensibilmente migliori al continente europeo.
Quello della co-partecipazione Pubblico Privata negli investimenti relativi alle infrastrutture è stato oggetto di importanti interventi normativi di semplificazione ed apertura anche in numerosi paesi dell’Europa Centrale e dell’Europa dell’Est.
Le infrastrutture in Italia, invece, sono vissute come un ospite scomodo anche in ambito portuale. E mentre noi riflettiamo sul da farsi, molte economie emergenti dell’area euro hanno iniziato ad avviare, da un lato, significativi interventi di semplificazione normativa per sostenere gli investimenti privati. E’ il caso, neanche troppo lontano, di Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Slovakia e Bulgaria.
Perché in tanti casi, è amaro constatarlo, c’è anche chi rema contro come nel caso delle Ferrovie dello Stato, guardando alla Liguria ed a Genova noi spedizionieri diciamo che non è ammissibile ritardare un solo giorno opere come Terzo Valico e Gronda. Basta alla indecisioni ed alla politica dei riesami infiniti. I genovesi ed i liguri devono capire e convincersi che buona parte del loro futuro, di quello dei loro figli dipenderà dalla volontà di fare scelte orientate a sostenere la vocazione mercantile di questo territorio.
Nella nostra città circa il 18 per cento dei nostri residenti trae la propria fonte di reddito dal Porto, che dà occupazione a circa il 14,8 per cento della popolazione genovese ed al 10,5 di quella della provincia .
Questa città ha bisogno di alternative occupazionali alla siderurgia ed alla cantieristica, ha bisogno di sinergie più forti tra mondo dell’impresa, della ricerca scientifica e dell’Università.
Per tale motivo l’Autorità Portuale di Genova nel redigere le sue linee guida ha dato per scontate le grandi opere: Terzo Valico e Gronda. Ribadendo che senza quelle ogni possibile scenario per il porto di Genova sarebbe azzerato.
È bene sottolineare, anche in questa sede, che la Gronda autostradale non è un’opera alternativa al Terzo Valico (che aprirebbe Genova ai traffici destinati al Sud della Germania, alla Svizzera e all’Austria), ma è, se vogliamo, complementare e vitale per le distanze a corto raggio, ovvero comprese entro i 150 chilometri dal porto di Genova.
Dobbiamo recuperare quelle quote di mercato italiano, presente in Lombardia e Veneto, che già da tempo hanno abbandonato l’Italia per i porti del Nord Europa. Si calcola che circa il 47% delle merci immesse in consumo in Italia entri da porti europei ma non italiani, con un danno stimabile in non meno di 128 milioni di euro di soli dazi non incassati.
Nel mondo che avanza e che progredisce, stiamo dunque assistendo in tutto il mondo, a politiche di governo orientate a fare non solo investimenti in infrastrutture ma anche a rimodellare, semplificandolo, il proprio quadro normativo di riferimento. Cosa che in Italia pare impossibile a realizzarsi.
Il comparto marittimo e portuale italiano non possono far dipendere la propria capacità produttiva dal livello di efficienza dell’Agenzia delle Dogane.
Ma vi sono esempi significativi di come questo Paese abbia compiuto scelte illogiche, rispetto a quello che l’Europa testimonia, ed anche dannose per le proprie imprese.
Basti citare, ancora una volta, il tema dei “Costi Minimi dell’Autotrasporto” su cui dopo una lunga attesa – anche il tema dei tempi della giustizia pesa gravosamente sul ranking mondiale dell’Italia – il Tar del Lazio si è determinato a sottoporre la questione alla Corte di Giustizia europea accogliendo peraltro, nell’ordinanza di rinvio, molte delle eccezioni di illegittimità da noi tradotte in atti.
Un recente studio presentato a Roma da Confindustria e Confetra illustra, attraverso una attenta e scrupolosa indagine comparativa condotta a livello europeo dallo studio legale Verhaegen Walravens , come i costi minimi siano una peculiarità italiana che non ha eguali in Europa ed in grado di penalizzare fortemente il settore dei trasporti, bypassato dalla concorrenza proveniente dall’est europeo, e della logistica a cui vengono imposti livelli tariffari che non hanno pari in Europa. Un altro classico pasticcio all’italiana.
Sul tema delle semplificazioni occorre una vera e propria rivoluzione culturale.
Occorre pensare a vere e proprie terapie d’urto, con la soppressione di tutto ciò che non è strettamente necessario per rispettare i dettami minimi europei, con la valorizzazione a tutti gli effetti delle certificazioni private o delle autocertificazioni. Le imprese e gli investitori hanno bisogno di certezza: certezza negli adempimenti, certezza nei tempi, certezza nei costi.
Semplificazione normativa ed amministrativa significa anche una nuova legge in materia portuale con cui, sulla base dei canoni adottati in Europa, si arrivi ad attribuire alle Autorità Portuali, una reale autonomia funzionale e finanziaria.
Assunta la rilevanza dei porti in materia di ricavi IVA e di accise sulle attività di importazione ed esportazione, le risorse dovrebbero essere distribuite ad ogni porto in funzione al relativo valore economico e contributivo al PIL.
Ma non solo. Le Autorità Portuali devono essere dotate di poteri dispositivi e di coordinamento amministrativo su tutte le amministrazioni che, a livello portuale, intervengono nel flusso di importazione ed esportazione delle merci.
Tra gli indicatori del malessere italiano, sicuramente figura quello relativo agli investimenti esteri in Italia. Ebbene ai primi posti del ranking mondiale stilato da UNCTAD e BLOOMBERG per capacità di attrarre investimenti esteri compaiono Cina, Usa e Brics. L’Italia, che non compare nella special top twenty, è solo 87° a livello mondiale (superata tra gli altri da Zambia, Albania e Mongolia) con una contrazione, registrata nel corso del 2010, di ben il 53% degli investimenti a capitale straniero!!
E’ pertanto necessario sostenere con determinazione l’attivazione dei necessari strumenti normativi, fiscali ed amministrativi che possano consentire all’Italia di tornare ad essere beneficiaria di investimenti esteri. A tal riguardo un valido strumento di indirizzo può essere costituito dalle politiche di numerosi Paesi Extra-UE che, grazie a “Regimi di promozione industriale”, hanno visto incrementare in maniera rilevante gli investitori stranieri.
La complessità e l’incertezza dell’ordinamento tributario italiano pesano sulle imprese quasi quanto le aliquote elevate. Scoraggiano gli investimenti e riducono l’attrattività dell’Italia. Bisogna rendere la normativa tributaria più lineare, di facile interpretazione. Bisogna, in sintesi, eliminare quelle distorsioni introdotte per aumentare il gettito, che hanno reso l’ordinamento opaco e di difficile lettura dei suoi obiettivi.
Come può questo Paese immaginare di attrarre investitori esteri o di mantenere quelli italiani quando, già oggi, si devono attendere mesi ed anni per avere un rimborso IVA ? Questo è il caso di molti operatori genovesi, penso ai terminalisti, ma anche di molte altre medio-grandi imprese che, oltre allo sforzo di resistere alla crisi e di continuare a competere con la concorrenza internazionale, si trovano ad avere quale loro peggiore pagatore, e spesso causa di insolvenza, lo Stato italiano.
Quale riflessione conclusiva, in questa relazione vogliamo parlare di lavoro. I principali indicatori elaborati dall’Ufficio Economico della CGIL dicono che dall’inizio della crisi, la Liguria ha perso circa 17 mila posti di lavoro, di cui 11 mila nei primi nove mesi del 2012. I dati convenzionali ISTAT sui disoccupati rivelano in oltre 53 mila le unità in cerca di lavoro nel primo trimestre 2012.
Se da un lato diminuiscono le ore di cassa integrazione ordinaria o straordinaria, aumentano quelle di cassa integrazione in deroga che investono in modo specifico il settore marittimo e spedizionieristico che nel corso del 2013 ha registrato un incremento del + 13,9%. .
Un confronto dei dati legati alla crescita dell’occupazione nella Provincia di Genova, relativo alle attività portuali, conferma la capacità delle attività logistiche di essere un vero e reale moltiplicatore dell’occupazione. Significativi a tal riguardo sono i dati riportati nelle tabelle che seguono
ANNO ADDETTI ATTIVITA’ PORTUALI DIRETTE OCCUPATI NELL’INDOTTO DIRETTO
2002 9.000 15.300
2010 11.000 26.000
PERCENTUALE DI CRESCITA 22.22 % 69.93 %
1995 2.500
2010 11.000
PERCENTUALE DI CRESCITA 340 %
La lettura di questi dati non può non aprire gli occhi su almeno due considerazioni conclusive.
La prima: Gli importanti investimenti operati nel Porto di Genova negli ultimi otto anni (2002 – 2010) hanno reso possibile una crescita costante dell’occupazione, consolidando il ruolo del porto quale prima industria cittadina in controtendenza a tutti gli altri settori economici di tipo industriale che hanno invece segnato nel 2012 una perdita del 16% rispetto all’anno precedente. Non possiamo dunque smettere di investire e soprattutto non è possibile continuare a mettere lacci e lacciuoli alle politiche di sviluppo del porto.
La seconda: Prendendo per veri i dati relativi alle future ipotesi di investimento e proiettando gli stessi su quelli che sono stati i trend di crescita dell’occupazione negli ultimi 15 anni – è lecito attendersi un ulteriore incremento dell’occupazione del 29.55% che potrebbe portare già nel 2015 a ben 14.250 le unità di occupati in attività portuali dirette nel territorio di Genova e ad oltre 30 mila quelle nell’indotto. Per questo chiediamo ai genovesi di sostenere, insieme alle categorie dell’impresa, le attività marittime che alimentano l’economia della nostra provincia e regione.
Ecco perché la logica dice di fare senza indugi e senza scusanti.