La Spezia, 16 agosto 2018 – Detto che non è e non sarà mai per me un rituale quello di ricordare le persone che hanno perso la vita nell’immane tragedia del viadotto crollato a Genova, e che il pensiero alle vittime, alla famiglie, a chi ancora non è entrato a far parte della terribile conta del disastro solo perché i giganteschi blocchi di cemento lo hanno nascosto, anche ai soccorritori, è dolore e null’altro, credo che il collasso strutturale di una delle infrastrutture più importanti del sistema paese, renda indispensabili, specie per chi di logistica e trasporti vive quotidianamente, alcune considerazioni.
La prima: nulla sarà come prima. Il crollo del Ponte Morandi segna per la politica e l’economia italiana un punto di svolta epocale: la politica non potrà più permettersi di cavalcare come ha fatto per decenni gli slogan, prolifici di voti, di Comitati più o meno ambientalisti (e ciò è accaduto negli ultimi trent’anni con il coinvolgimento prevalente di forze vecchie di governo e di sinistra, quindi, di recente, con quello di movimenti nuovi della politica nazionale). Nulla non sarà come prima anche nel rapporto fra pubblico e privati in tema di concessioni autostradali con una inevitabile rivisitazione delle regole del gioco, dei parametri che hanno concesso a gruppi di arricchirsi attraverso aggiornamenti quasi automatici dei pedaggi, assenza di controlli pubblici sull’esecuzione di investimenti e di manutenzione, assenza di verifiche sui perché e sulle modalità di scelta dei concessionari. Il Morandi ha trascinato nel vuoto tutto questo sistema di consociativismo politico ed economico, rendendolo fragile e pronto a crollare come il pilone centrale del viadotto autostradale sul Polcevera e specialmente impedendo alla politica di oggi e domani di perseguire gli stessi schemi.
La seconda: il crollo del ponte Morandi è un’emergenza nazionale. Che non riguarda solo Genova o la Liguria. Non riguarda solo quelle filiere della logistica e dei trasporti che molti ancora in politica e persino nel mondo della produzione considerano un optional, titolari di una funzione ancillare rispetto alla produzione industriale. Il fatto che il porto di Genova, il primo porto italiano per funzioni strategiche, per container e per passeggeri, rischi di essere un gigante azzoppato per anni con conseguenze che solo apparentemente e nel breve potranno apparire positive per gli altri porti del sistema ligure; il fatto che alla coincidenza dei due principali assi di traffico su gomma, (quello verso nord e le aree produttive lombarde) e quello fra est e ovest (fra Francia e l’est italiano ed europeo) sia un cumulo di macerie, rappresenta una emergenza per tutta l’Italia.
E ciò impone decisioni immediate, procedure da emergenza (ed è positivo che il governo abbia decretato uno stato di emergenza di 12 mesi) per consentire una difficile convivenza fra traffico camionistico e traffico automobilistico da e per il porto di Genova garantendo un collegamento per le merci da e per l’hinterland produttivo; ciò impone un grande pragmatismo e comprendere che dall’efficienza di questi collegamenti dipenderà la competitività di una parte importante del sistema paese.
Decisioni immediate anche sul domani, che è oggi, in tema di infrastrutture, varando procedure e appalti di emergenza per la realizzazione di opere, gronde o bretelle che dir si voglia, ma che garantiscano nei tempi più brevi possibili e a tappe forzate il ripristino di quel cordone ombelicale est ovest che deve essere radicato sul porto di Genova: non per noi che ci occupiamo di logistica, ma per tutti, anche quelli che credono che i camion siano scomodi e pericolosi, che favoleggiano del trasferimento totale del traffico dalle strade alla ferrovia, pensano alla decrescita felice. Noi invece puntiamo su un futuro per i nostri figli.
Alessandro Laghezza,
Presidente Gruppo Laghezza