Creta, 25 ottobre 2014 – Dalla survey annuale che ormai da 17 anni conduce l’istituto di ricerca Petrofin, non si arresta la crescita della flotta greca. Ad agosto 2014 le 4.707 unità censite hanno raggiunto la capacità di trasporto in peso (tons dwt) di circa 304 milioni, in crescita ininterrotta dal 2001. Solo nell’ultimo anno le nuove navi entrate in servizio sono state 134, incrementando il dwt complessivo dell’8% (22milioni).
Secondo Petrofin Research questo risultato è dovuto alla grande e significativa penetrazione dei fondi di investimento statunitensi e del mercato azionario nel settore dello shipping (nel 2013 nel settore armatoriale greco sono stati investiti oltre 9 miliardi di euro), animata dall’aspettativa di ripresa ciclica della crescita dei noli e del valore delle navi. Anche dalle classifiche internazionali appare chiaro quali siano i segmenti che hanno drenato la maggioranza degli investimenti; per tonnellaggio gli armatori greci sono primi nel settore tanker e secondi in quelli delle dry bulk carriers, delle metaniere e delle portacontainer, e, secondo Clarkson, 40 armatori greci controllano oltre il 10% del dwt mondiale e oltre il 9% del volume di carico.
Questo sviluppo, nonostante la fortissima e grave crisi economica del paese, trova principalmente radici nel regime di tassazione greco particolarmente favorevole allo shipping, che riesce a mantenersi competitivo nonostante la forte concorrenza dell’offerta fiscale di alcuni paesi per attrarre compagnie di navigazione. Ma la crisi in Grecia è durissima, e pochi giorni fa è entrato in vigore un provvedimento legislativo che attua un Accordo volontario – sottoscritto più di un anno fa ed emendato solo a luglio scorso dopo un lungo e serrato confronto – tra il primo ministro Samaras e l’Associazione nazionale degli armatori greci UGS (Union of Greek Shipowners). L’accordo, che per la Costituzione greca non può essere obbligatorio, anche se impegna formalmente l’UGS ad indicare vie alternative per gli “evasori”, prevede una contribuzione volontaria extra (cioè aggiuntiva alla Tonnage tax, unica tassa pagata dagli armatori greci e recepita costituzionalmente) di 420 milioni di euro, ripartiti in 105milioni annui da ottobre 2014 al primo trimestre 2017. Il provvedimento coinvolge 478 compagnie ed è calcolato sulla stazza delle navi operate, indipendentemente dal Registro di bandiera a cui sono iscritte. Visto il processo strutturale di gigantismo navale che sta interessando lo shipping greco, alcuni osservatori ritengono che la contribuzione potrà essere più elevata del previsto.
Tuttavia permangono nel settore stridenti contraddizioni, che condizionano negativamente il mercato a sfavore delle imprese di navigazione più virtuose, che operano in particolare nel settore roro e ropax. Sempre più si sta delineando una netta separazione tra il dinamismo dello shipping greco internazionale e il congelamento stagnante dello shipping domestico. Infatti, non trova un corrispondenza nazionale quel che sta avvenendo nelle flotte greche che operano sui mercati internazionali, che crescono e contemporaneamente si concentrano (40 società detengono oltre il 55% del dwt totale greco con flotte di oltre 25 navi) con navi di età media 9 anni per le +20.000 dwt e di 3,5 anni per quelle che trasportano LNG, in totale 50 unità che formano la più giovane flotta greca.
Sempre dai dati Petrofin, dal 2011 il numero degli armatori è sceso del 12%, arrivando alle 668 società attuali; la caduta principale è tra le piccole società con 1 o 2 navi di proprietà, che attualmente rappresentano il 45% delle compagnie greche: 274 società che controllano poco più di 8,5 milioni dwt e con il 45% di navi di oltre 20 anni di età. E’ proprio in questa fascia che si concentra il naviglio che serve i collegamenti domestici e intramediterranei di passeggeri e rotabili.
Questa problematica, che ormai ha assunto il peso dell’urgenza, non poteva non essere oggetto anche della Convention Euromed 2014 della Grimaldi Group, che dal 2008 detiene oltre l’88% della società cretese Minoan Lines, principale operatore di servizi di linea roro e ropax sulle rotte Creta-Pireo e Grecia-Adriatico italiano. Con la nuova proprietà armatoriale, leader mondiale del settore roro, Minoan è stata sottoposta nel tempo ad un radicale processo di rinnovamento ed ammodernamento della flotta, eliminando le navi obsolete ed inserendo 3 navi Green Class di bandiera italiana, le più grandi RoPax del Mediterraneo di 4-7 anni di età. Attualmente essa opera con la più giovane flotta (età media 8 anni) in servizio sui mercati adriatici e cretesi e recentemente il gruppo ha iniettato ulteriori 30 milioni di capitale sociale. Dopo anni di perdita entro quest’anno la società, che ha la sua sede centrale ad Heraklion (Creta), dovrebbe raggiungere il break-even ed i dati dei primi 8 mesi 2014, nonostante la stagnazione, confortano questa previsione, registrando un incremento positivo su tutte le voci, in particolare nell’automotive, con un + 6% (6000 vetture) di auto nuove e nel trasporto di trucks con un +16% (15.500 unità). Risultati importanti, se si pensa che il traffico Short Sea Shipping tra Egeo e Adriatico di rotabili, trucks e trailers, dopo essere sceso al tasso annuo del 10% dal 2010 al 2012, ha subito una forte stagnazione nel 2013 a causa della crisi e dei continui miglioramenti infrastrutturali dell’area balcanica. A ciò si è aggiunta anche la forte concorrenza dei voli low cost punto a punto, che, incidendo direttamente sull’economia di scopo delle navi ro pax, hanno ormai acquisito strutturalmente una grossa fetta di mercato dei vacanzieri senza auto al seguito.
Ma questa pagina di buone pratiche aziendali non trova analoghi riscontri nel mercato domestico più vasto. Infatti, molte piccole compagnie ferry nella spirale del debito insoluto sono state assorbite dalla Banca del Pireo, che ora mantiene operative navi vecchie ed obsolete di età fino a 40 anni, che consumano ed inquinano molto su linee sovvenzionate dallo Stato con €85 mln annui (Minoan Lines, che non è sovvenzionata dallo Stato), e collegano le isole greche al Pireo in modo inefficiente, inquinante e potenzialmente insicuro. Per questo motivo, come denunciato da Emanuele Grimaldi che è anche Presidente dell’Associazione degli armatori italiani, Confitarma, il mercato è destabilizzato da 6 anni, procurando stagnazione e perdite alle compagnie tra i 100 e i 200 mln all’anno. “Occorre prendere atto che la domanda è calata in maniera strutturale e che bisogna costruire un nuovo modello di business con un masterplan per il nostro settore. Le navi vecchie vanno demolite per riequilibrare il mercato” è il monito lanciato dall’Euromed alle banche e al mercato greco.
Giovanna Visco