Nella foto: lingotti di…rame
Roma, 5 dicembre 2014 – Una Commissione di inchiesta del Senato ha concluso recentemente un’istruttoria bipartisan durata due anni, che ha indagato sul comportamento delle principali banche statunitensi. Messe sotto la lente di ingrandimento per fondato sospetto di posizione dominante e manipolazione dei mercati delle commodity fisiche, l’entità del fenomeno ha riguardato, tra altri, 6.000 miglia di pipeline controllate da Morgan Stanley, 1,5 milioni di tonnellate di cargo navale di alluminio di Goldman Sachs e 2,7 miliardi di dollari di rame di JP Morgan.
La regolamentazione bancaria statunitense da 12 anni non vieta agli istituti di possedere commodity fisiche, ma ne fissa il limite entro il 5% del loro capitale di I livello o delle transazioni di consegna fisica.
Durante l’istruttoria è apparso presto chiaro che se “i topi” avevano ballato così abbondantemente a lungo era perché i “gatti” erano altrove. La Borsa dei Metalli di Londra (LME), dove sono avvenute le transazioni, senza un sistema di controllo sui magazzini aggiornato alla crescita dei mercati e la Fed (Federal Reserve), che non aveva neanche idea dell’ammontare delle quantità di commodity fisiche detenute dalle banche, con rischi molto gravi per l’economia reale.
In tutti i casi, sui mercati delle materie prime la bufera non sarà uno tzunami. Già ben prima che si chiudesse l’istruttoria spirava vento di censura, facendo correre ai ripari banche ed organi di controllo. Come riporta The Guardian, Credit Suisse e Deutsche Bank “stanno facendo i bagagli” dal mercato fisico delle commodity; JP Morgan, che deteneva in commodities fisiche oltre il 12% del suo capitale, ha venduto per 3,5 miliardi di dollari; Morgan Stanley sta sfoltendo le sue operazioni e Goldman Sachs ha messo all’asta i suoi magazzini ricolmi di materie prime. Intanto, sono state introdotte anche nuove regole, che supervisionando i magazzini coinvolti negli scambi commerciali, hanno drasticamente tagliato i tempi di attesa delle industrie manifatturiere, che erano arrivati speculativamente fino a due anni, anche se non si è riusciti ad impedirne l’aumento dei premium (costi aggiuntivi che i buyers devono pagare per la consegna delle merci).
Il vero scoop dell’inchiesta parlamentare è stata la scoperta dell’equiparazione del rame ai metalli preziosi (oro, argento, platino e palladio), decisa dalla Federal Reserve e dall’OCC (Office of the Comptroller of the Currency) sin dal 1995, su richiesta di una banca non identificata. Un escamotage che ha consentito ai banchieri di sfuggire alle regole di sistema sulle commodity, stipando liberamente quantitativi di rame senza dichiararlo agli organismi di controllo.
L’OCC ha giustificato l’equiparazione con l’uso del metallo nel conio delle monete in corso legale, ma la Commissione senatoriale ha fatto notare che la moneta più associata al rame, il penny, dal 1984 è prodotta per il 97,5% con zinco.
A fine 2010 il rame a tre mesi sulla Borsa di Londra (LME) raggiungeva il record assoluto di 9.950 dollari alla tonnellata e JPMorgan guardava al lancio sul mercato finanziario di un Fondo exchange-traded (ETF) di titoli fisici di rame. Le scorte di rame del gigante bancario nel 2010 ammontavano a un valore di 1,65 miliardi, nel 2011 a 2,72 miliardi e nel 2012a 1,22 miliardi.
Il rame fisico nel gennaio-novembre 2014, nonostante il rapido declino di greggio, zinco e alluminio, ha perso in media solo il 9% del suo valore di mercato, con un prezzo oscillante intorno ai 6.500 dollari alla tonnellata. Per il 2015, come riporta SMH, le previsioni sono contrastanti. lCSG (International Copper Study Group) prevede nei mercati globali un deficit di rame di 307.000 tonnellate, agganciato soprattutto alla domanda cinese che copre il 40% di quella globale. CLSA, invece, ne prevede un prezzo stazionario per tutto l’anno con un nuovo trend in ascesa verso il 2016. Pessimista la previsione 2015 della banca americana Goldman Sachs, che ha rivisto al ribasso il prezzo del metallo a circa 6.200 dollari a tonnellata.
Restano comunque elementi che sfuggono alle previsioni, già di per sé abbastanza volatili, legati alla sua appetibilità che potrebbero avere effetti importanti sull’andamento della commodity. Ad esempio, a inizio 2014 emerse uno scandalo internazionale, quando nel porto di Qingdao le autorità cinesi scoprirono una società commerciale che, sotto la pressione della stretta creditizia del sistema finanziario cinese, impegnava il rame come garanzia collaterale a più di un prestatore. Ma non solo. Anche uno sciopero minerario di tre settimane, come quello riportato da Bloomberg all’impianto minerario di Antamina (Peru) della BHP Billiton Ldt può fare la differenza. Infatti, alla ripresa estrattiva a fine novembre, la Borsa dei Metalli di Londra (LME) batteva il prezzo del rame con consegna a tre mesi a 6.382 dollari a tonnellata metrica, segnando il ribasso settimanale più forte dall’aprile 2013 (-2,7%). Da Bloomberg, al 26 novembre scorso , per la prima volta dal 2001, il prezzo del metallo al Comex di NewYork segnava un – 13%.
Sempre in tema minerario, da una denuncia di Amnesty International, a Letpadaung, regione di Sagaing (Myanmar) sono a rischio circa 25.000 persone che vivono o hanno attività agricole nei terreni che il governo birmano sta destinando alle attività minerarie per l’estrazione di rame. Ciò ha riportato un clima di grave tensione sociale, che nel 2012 aveva causato la chiusura dell’impianto per quasi un anno. A sollevare le forti proteste il nuovo contratto minerario tra il governo birmano (51%) e la joint tra la cinese Wanbao Mining Ltd e la Myanmar Economic Holdings Ltd dei militari (49%) che estende l’area di sfruttamento.
Sul fronte dei commodity futures (contratti negoziati nei mercati regolamentati che, ad una data futura, impegnano all’acquisto o alla vendita di una determinata quantità di merce ad un prezzo prefissato), il rame sta registrando perdite giornaliere consistenti, tra le più alte degli ultimi 4 anni. Gli speculatori ne temono l’immissione di maggiori quantità sul mercato globale, per la discesa del prezzo del petrolio, che rappresentando l’8% dei costi di produzione mineraria del rame, rende conveniente alle compagnie minerarie spingerne la produzione; che ha numeri da capogiro. I maggiori produttori di rame nel mondo sono in ordine di grandezza Cina, Perù, USA, Cile e Australia, che da sola nel 2013-2014 ha esportato 8,7 miliardi di dollari di rame.
Ciononostante, il mondo continua ad avere fame di rame, sebbene esso sia anche riciclabile al 100%.
Il prodotto raffinato è il risultato della lavorazione di ciò che viene estratto dalle miniere con quello che viene rastrellato sui mercati dello scrap. Questo ultimo elemento impatta direttamente sulla vita quotidiana di molti paesi. Se in Italia i furti di cavi contenenti un’alta percentuale di rame non ha risparmiato neanche le linee ferroviarie ad alta velocità, in Canada e negli Stati Uniti i furti dilaganti del metallo mettono in discussione la diffusione degli autoveicoli elettrici, per i continui furti di pochi metri di cavo per volta che mettono fuori uso a tempo indeterminato colonnine e stazioni di rifornimento. La refurtiva viene pagata a peso da ricettatori, che confondono nei carichi autorizzati diretti nelle fonderie la merce rubata. Il prezzo della commodity sui mercati incoraggia il mercato illegale, che finisce sui consumatori finali, con le sospensioni dei servizi danneggiati, con i costi economici salati per i lavori di sostituzione dei cavi rubati – rendendo diseconomiche attività di servizio -, con l’aumento degli incidenti sul lavoro, legati alle operazioni di ripristino delle linee elettriche tranciate.
In diversi paesi si sta lavorando con i commercianti di scrap per introdurre sistemi di tracciabilità e si stanno utilizzando cavi di conduzione di acciaio che basse percentuali di rame rame. In Stati come l’Ohio si sta incentivando la popolazione a segnalare i movimenti sospetti con numeri verdi gratuiti e ricompense di 5.000 dollari se l’allarme conduce ad un arresto. Recentemente, il Journal Gazette ha diffuso una sentenza storica emessa nello Stato dell’Indiana che condanna per furto e traffico di rame a 11 ani di carcere il dipendente di un’azienda ch edovrà anche risarcire il danno causato di un milione di dollari con un pagamento mensile di almeno 100 dollari. In Europa è stato avviato il progetto Pol-Primett di partnership tra forze di polizia e imprese private di telecomunicazioni, energia e trasporti e industria di rilavorazione. Nel solo Portogallo, la Guardia Nazionale ha reso noto che nei primi 6 mesi dell’anno ha registrato 2.959 furti di rame, mentre la Camera di Commercio e Industria del Sud Africa, paese BRICS che continua a essere la punta avanzata dello sviluppo economico del continente africano, ha definito i furti di rame una vera e propria emergenza per il sistema di fornitura elettrica dl paese. Con un trend in crescita, nel solo mese di settembre ne sono stati rubati 173 tonnellate (in agosto 160 e 158 in luglio).
Giovanna Visco