La Convenzione Internazionale per il Controllo e la Gestione delle acque di zavorra entrerà a breve in vigore in Italia

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Barbara Gattorna
Associate, Milano

 

Milano, 2 aprile 2017 -  Nel settembre di quest’anno – con la ratifica, ad oggi, di 53 Stati (che costituiscono il 53,28% del tonnellaggio movimentato mondiale) – entrerà in vigore la convenzione internazionale per il controllo e la gestione delle acque di zavorra e dei sedimenti di navi, approvata nel 2004 a Londra, in sede IMO (International Maritime Organization).
La Convenzione in parola si propone di ridurre al minino e, in ultima, analisi, eliminare i rischi ambientali connessi all’uso delle cd. «acque di zavorra» utilizzate dalle navi che effettuano viaggi internazionali.
È stato accertato, infatti, come tali enormi quantità di acque marine imbarcate dalle navi per stabilizzare l’assetto di crociera, contengano alghe, microrganismi, batteri patogeni e specie animali e
vegetali aliene che, una volta scaricati in porto, si diffondono nell’ecosistema marino che li riceve, creando fenomeni di contaminazione di acque marine portuali e costiere, estuari e laghi.
Ad avviso dell’IMO – che ha iniziato ad occuparsi della questione già del 1988 emanando linee guida e risoluzioni in merito – la mancanza di regolamentazione dello scarico delle acque di zavorra
costituisce una serie minaccia alla biodiversità marina e può comportare gravi problemi sanitari (nel caso di trasporto e conseguente diffusione di agenti tossici), nonché danni economici alle attività
costiere.
Al fine di contrastare tali fenomeni, gli Stati contrenti hanno elaborato un nucleo minimo di regole che si impegnano a rispettare con la facoltà di prendere – singolarmente o congiuntamente ad altri
paesi – misure più rigorose di gestione delle acque di zavorra e di prevenzione ed eliminazione degli scarichi di queste.
La convenzione si applica alle navi che battono bandiera di uno degli Stati membri e che effettuano viaggi internazionali.Sono escluse le navi da guerra, quelle che eserciscono unicamente cabotaggio,
le navi costruite in modo tale da non poter trasportare acque di zavorra o che, all’esatto contrario, trasportino acque di zavorra non soggette allo scarico in cisterne sigillate.
Gli «impegni» assunti dagli Stati parti in sede IMO attengono sostanzialmente: (i) all’obbligo, in capo agli armatori, di dotarsi di apparecchiature e sistemi di trattamento delle acque di zavorra
(cd. Ballast Water Treatment Systems, BWTS); (ii) alla competenza dei singoli Stati contraenti circa la verifica, sulle navi che scaleranno i loro porti, del rispetto delle norme in materia di scarico delle acque di zavorra; (iii) all’obbligo di dotazione, per ciascuna nave, di certificati di gestione delle acque di zavorra.
9 Principi previsti all’art. 2 del D.lgs. 163/2006.
Il primo impegno è certo il più gravoso nonché foriero di problemi. La convenzione prevede, infatti, che tutte le navi debbano avere a bordo un sistema di trattamento dell’acqua di zavorra che risponda alle caratteristiche dettate dall’IMO. L’obbligo scatta dalla costruzione per le navi nuove, mentre le navi esistenti saranno obbligate ad installarlo come «retrofit» al primo bacino successivo
all’entrata in vigore del trattato.
Rilevante preoccupazione nel settore deriva dal fatto che l’IMO, ad oggi, non ha ancora fornito chiare e precise indicazioni su quali sistemi e quali metodologie e tecnologie saranno ritenute idonee dall’organizzazione internazionale e, quindi, supereranno le ispezioni che verranno effettuate nei porti di altri Stati, siano essi parti della convenzione IMO o no.
Infatti, gli armatori, dovranno sostenere ingentissimi costi per il su detto «retrofit» delle navi già in flotta e per la progettazione e la realizzazione di nuove navi che abbiano apparecchiature e sistemi
in grado di assicurare che il sicuro scambio delle acque di zavorra e che per tali attività siano costruite (i.e. necessari requisiti di robustezza dello scafo e stabilità della nave stessa).
Certo è che, se tali investimenti portassero all’equipaggiamento di navi con apparecchiature riconosciute in seguito come non idonee per gli standard IMO, il danno economico per gli armatori degli Stati contraenti, che si stanno già muovendo affinché le proprie navi siano compliant con la convenzione presto in vigore, sarebbe enorme.
Senza contare poi che la portata degli investimenti per ogni singola nave potrebbe condurre determinati armatori a rinunciare con la conseguente, obbligatoria «rottamazione» delle navi non attrezzate dell’apparecchiatura richiesta dalla nuova convenzione.
Altra, ulteriore fonte di preoccupazione deriva dagli Stati che hanno scelto di non aderire alla convenzione, come gli U.S.A.. Gli Stati Uniti hanno, infatti, adottato proprie regole in relazione al trattamento delle acque di zavorra che si presentano, ad oggi, decisamente più stringenti rispetto a quelle adottate in sede IMO. In particolare, il regime di approvazione delle apparecchiature di trattamento delle acque – già in vigore dal 2014 – è decisamente più rigoroso e potrebbe escludere la validità di sistemi già adottati da alcuni degli Stati parti della convenzione IMO.
Per tale ragione si attendono con apprensione le determinazioni del Comitato IMO per la protezione dell’ambiente marino del prossimo ottobre. Si auspica che in tale sede, vengano, innanzitutto,
definite una volta per tutte le caratteristiche dei sistemi e delle apparecchiature di cui le navi dovranno essere dotate.
Gli operatori del settore richiedono, inoltre, l’apertura di un dialogo tra l’IMO e i paesi non firmatari della convenzione ma che si sono dotati di autonome regole per la gestione delle acque di zavorra
(i.e. U.S.A.) in modo tale da definire, insieme, i requisiti standard minimi delle apparecchiature di bordo ed evitare che le navi provenienti da Stati parti IMO non vengano accettate nei porti di paesi terzi.

 

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