Gigantismo navale e congestionamento,la pressione finanziaria e logistica dei terminal sale alle stelle

terminal container chi

Roma, 27 novembre 2014 – Il 2014 nei principali porti del Nord Europa sarà ricordato come l’anno del congestionamento dei terminal container. Un fantasma che sembrava dissolto per sempre, ma che è ricomparso spaventoso, evocato dall’annodarsi del gigantismo navale delle portacontenitori con il rallentamento della velocità di navigazione, per tagliare i costi salatisimi del bunker. Infatti, sono questi due fattori che hanno scombussolato le programmazioni degli arrivi e partenze nel corso di tutto l’anno, determinando, ad esempio, nel più grande terminal contenitori di Amburgo, HHLA, ritardi degli arrivi nave tra le 30 e le 115 ore e, nel primo trimestre 2014, un arrivo nave entro le 24 ore del tempo programmato solo del 51% del traffico Asia-Europa (dato Drewry).
Proprio quando i grandi terminal contenitori avevano ormai raggiunto organizzazioni e tempistiche di movimentazione sbarco/imbarco dei pezzi da impianto industriale, inaspettatamente il congestionamento vi ha negativamente impattato, esaurendo la capacità di spazi e la manodopera portuale disponibile, che non è dimensionata su picchi di lavoro provocati dal disfunzionamento di navi così grandi.
Ma per il settore riunito al Port Performance Coonference Europe a Londra, è proprio questa nuova tensione che potrebbe segnare un’importante svolta di tendenza. Se finora i porti sembravano alla mercè delle richieste dello shipping oceanico dei contenitori, queste nuove problematiche rimettono al centro i porti, che iniziano a dominare, in termini di produttività e di capacità, nella strategia complessiva dei network, che le compagnie stanno mettendo a punto. Con l’anno nuovo saranno operative nuove alleanze oceaniche – 2M di Maersk-MSC e OTA (Ocean Three Alliance) di CMA CGM, China Shipping e UASC – che dovrebbero così poter dare priorità all’affidabilità dei timing schedulati, invertendo l’impostazione delle strategie degli armatori oceanici container, finora protese massimamente ad abbattere il costo del consumo gasolio in navigazione.
Di congestionamento dei terminal container è afflitto anche l’altra parte del mondo, quella degli Stati Uniti, che Drewry prevede incalzante con pesanti costi anche nei prossimi anni, a meno che non si accelerino investimenti di adeguamento infrastrutturale e si introducano maggiori flessibilità della turnistica del lavoro portuale. Infatti, responsabili del congestionamento nordamericano, sarebbero le dimensioni delle infrastrutture portuali (banchine, gru e spazi) al di sotto della media mondiale; il loro scarso uso intensivo ed una bassa automatizzazione. Ad esempio, la dimensione di un terminal contenitori statunitense è circa il 25% più piccola della media mondiale. La ricerca Drewry mostra che, in termini di intensità di uso degli asset, terminal più grandi performano meglio e quando movimentano anche una quota significativa di transhipment, le prestazioni migliorano rispetto a quelle di terminal prevalentemente gateway, che sono soggetti ad alti costi del lavoro portuale e al traffico delle merci in import, che occupano più a lungo gli spazi e richiedono operazioni più complesse.
Come notato da Neil Davidson (Drewry), i porti commerciali nordamericani risentono della rapida crescita della dimensione delle navi, mediamente del 120-160% (contro quella del 70% delle navi sulla rotta oceanica Asia-Europa e del 30% di quelle sulle rotte transatlantiche). Attualmente sono in costruzione più di 104 navi tra gli 8.000 e i 10.000 teu che saranno impiegate sulle direttrici Nord-Sud di collegamento Americhe. Analogamente, navi di medesime dimensioni opereranno tra l’Asia ed il Medioriente e sulle rotte transatlantiche.
Tornando all’Europa, come riporta joc.com, secondo Trevor Crowe (Clarkson), in seguito alla caduta di crescita dei volumi per la crisi finanziaria globale del 2008, finora l’industria portuale container ha sottoinvestito. Ma a partire da questo anno, in cui i contenitori caricati nei porti del mondo sono stimati 692 milioni, con base annuale di crescita modesta al 5% entro il 2024 questo numero salirà a 1,15 miliardi e a 1,32 miliardi se il tasso arrivasse all’8%. A questo punto, secondo Clarkson, l’industria portuale dei container ha solo due possibilità per incontrare la domanda crescente, incrementando la capacità di spazio o la produttività. Di medesimo orientamento, all’Intermodal Europe di Rotterdam, anche Drewry per voce di Mr Rubens. Considerando il raddoppio della dimensione media delle navi portacontainer da 4000 a 8000 teus, avvenuto nel 2014, e l’82% degli ordini in costruzione ben al di sopra di tale capacità, la società di consulenza ritiene necessari maggiori investimenti terminalisti per mantenerne l’attrattività. Occorrono gru che movimentino i carichi di grandi navi con 23 box di altezza e fondali di banchina a 17 metri, sebbene il dragaggio sia costoso ed impopolare nelle poliche globali.
Ma il gigantismo oltre all’adeguamento infrastrutturale comporta anche nuove organizzazioni del lavoro. Come risulta dai dati nord europei, la media di porti scalati a settimana è passata dai 160 nel 2009 ai 100 di questo anno, perché al crescere delle loro dimensioni le navi diminuiscono le frequenze di scalo e allo stesso tempo richiedono maggiori prestazioni.
Per il congestionamento dei terminal container il 2014 ha visto transit time più lunghi, collasso delle programmazioni, lievitazione dei ritardi per la perdita delle coincidenze modali, consegne a destino fuori tempo. Gli operatori terrestri intermodali, che tra l’altro hanno bisogno di alti livelli di utilizzazione costante degli asset per raggiungere il break even, si sono visti sconvolgere tutta la pianificazione su ferro e molti clienti, nel tentativo di recuperare del tempo, hanno deviato la loro merce su gomma, con importanti esternalità ambientali. Gli operatori della catena logistica del freddo, invece, stanno pensando a soluzioni di rallentamento del processo di maturazione dei prodotti alimentari freschi e di miglioramento della conservazione, alla luce dell’allungarsi dei tempi di consegna.
La concatenazione derivata dalle dimensioni delle navi extra large ha generato una diseconomia di scala finita sulle casse delle imprese clienti, che hanno pagato un costo complessivo ben lontano dal livello ottimale, e che vorrebbero costi logistici più accettabili, garantiti da navi più piccole.

Giovanna Visco

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