Tripoli:in settimana ”apriranno” i porti petroliferi.

libiadiagramma EXPORT PETROLIO

Tripoli, 13 aprile 2014 – Potrebbe essere questione di pochissimi giorni la ripresa del funzionamento del porto petrolifero di Al-Hariga, che esporta greggio per un equivalente di circa 110.000 barili al giorno (bpd). Come diffuso da Al Jazeera, il corpo delle Guardie regolari per la sicurezza degli impianti petroliferi ha confermato il pieno controllo dell’impianto, mentre alcune raffinerie stanno iniziando a fissare le prime navi tanker per Al-Hariga. Zuetina, invece, l’altro porto che dovrebbe essere sbloccato, ancora è in stand by per cause di forza maggiore. Infatti, è con questa motivazione che il NOC, che gestisce tutto l’export energetico del paese, ha giustificato il procrastinarsi della chiusura. L’accordo raggiunto una settimana fa tra il capo dei ribelli federalisti Jathran e il Governo centrale libico, grazie alla mediazione degli anziani delle tribù, ha evitato il divampare di una pesante guerra nella regione cirenaica. Restano in totale controllo dei ribelli federalisti i porti di Ras Lanouf e di Al-Sidra, che insieme raggiungono un export petrolifero di 550.000 bdp, il più rilevante del Paese. Essi dovrebbero essere sbloccati entro un mese; ma l’accordo raggiunto resta segreto nei suoi dettagli, se non nella diffusione della richiesta dei ribelli federalisti a Tripoli di indire un referendum nazionale sulla reintroduzione del sistema federalista dello stato, basato su Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, per quella maggiore autonomia regionale che stanno chiedendo dalla caduta di Gheddafi nel 2011.
Proprio in questi giorni, il sistema di governo locale si sta già muovendo in questa direzione. Infatti, come diffuso dall’agenzia AP, la televisione di stato ha diffuso i risultati di elezione del consiglio degli anziani cirenaico, che rappresenta un primo significativo passo verso la costituzione di un sistema federale del paese. A capo del Consiglio della Cirenaica, che comprende anche membri della tribù Tebu storicamente emarginata dal dittatore Gheddafi, è stato eletto Abdel-Jawad al-Badeen, attivista federalista leader della milizia Malik. Il neo eletto Consiglio della Cirenaica, che comprende la seconda città più grande della Libia, Bengasi, ha subito chiesto il referendum per il sistema federale e la restaurazione della monarchia per la stabilizzazione del paese, abolita da Gheddafi quando depose re Idris nel 1969.
Tra questi continui fermenti, turbolenze e conflitti, un’esortazione congiunta dei governi occidentali nei giorni scorsi ha chiesto una rapida riapertura dei terminal petroliferi, invitando tutte le parti alla trasparenza, al dialogo e all’attenzione sulle questioni fondamentali, nazionali e regionali, che coinvolgono le risorse della Libia.
Dall’altra parte del paese, invece, nella capitale e nei suoi dintorni, nuove proteste contro il Governo ed il Parlamento, il GNC (General National Congress), hanno prima chiuso le strade che conducono al porto di Zawiya con cumuli di sabbia e poi lo hanno direttamente bloccato, impedendo ai lavoratori del terminal di scaricare le tanker in attesa nel porto piene di greggio (per sopperire il rifornimento terrestre dal campo di al-Wafa bloccato dai manifestanti di Zintan), per la raffinazione destinata al mercato domestico. Molte stazioni di servizio a Tripoli sono nuovamente chiuse e lunghe file di attesa per quelle rimaste aperte. Le proteste chiedono nuove elezioni e sicurezza, ma il Governo, a maggioranza Fratelli Mussulmani, è ostinato a non cedere, nonostante ormai il suo mandato legittimo sia scaduto da tempo. Anche il Primo ministro pro-tempore con verifica ogni due settimane, Abdullah al-Thinni, ex Ministro della Difesa prima che Alì Zeidan fosse sfiduciato e costretto alle dimissioni a seguito della vicenda della nave Morning Glory, si è rifiutato di eseguire l’incarico ricevuto pochi giorni fa dal GNC di formare un nuovo gabinetto di governo. Come diffuso da Al Jeezera, in una lettera al GNC, al-Thinni spiega le ragioni del suo rifiuto ad accettare l’estensione del proprio mandato, motivandole con le minacce ricevute anche dai suoi familiari e per non voler essere responsabile della violenza che sta attraversando tutto il paese. Auspicandosi che il Parlamento dia presto un nuovo incarico, resta intanto al proprio posto ad interim.
Giovanna Visco

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