Venti critici soffiano sulle linee di sviluppo del Piano Nazionale della Logistica

Roma. Presentata la sintesi degli studi scientifici e statistici descrittivi, commissionati dalla Consulta Generale per l’Autotrasporto e la Logistica, a supporto del Piano Nazionale della Logistica 2011-2020, che come ha annunciato il Sottosegretario Giachino sarà a breve relazionato al Cipe per
l’approvazione da Ettore Incalza. Secondo Incalza, il governo in questi anni ha intessuto un insieme propedeutico di strumenti legislativi che consentiranno la realizzazione tecnica del Piano. Tuttavia, nella platea di associazioni nazionali e di operatori, sono soffiati venti contrastanti.

Il Presidente del porto di Venezia, Paolo Costa,  ha pubblicamente commentato che non si può più rinviare al domani, i tempi sono cambiati e ”tutto ciò che è stato scritto ante 2008 va rivisto”. La concorrenza tra i porti è ormai sperimentata quotidianamente e la loro autonomia finanziaria è necessaria per rischiare in proprio per la competizione di mercato e non di mercato che il porto gioca in terra e in mare. “Piano” significa fare scelte, ma “dobbiamo sapere quali sono gli interessi del paese”. La certezza è che nei prossimi anni il mercato italiano come quello europeo non traineranno l’economia, “dobbiamo quindi essere capaci di raggiungere paesi consumatori come Cina, India e anche Turchia. Occorrono idee mirate allo sbocco esportativo del nostro Paese verso i
mercati di  consumo”, subito, senza aspettare i corridoi ed eliminando le inefficienze dell’ultimo miglio.

Il Segretario Generale di Confetra, Piero Luzzati, ha più volte rimarcato che bisogna fare scelte. Non convince la prospettiva prevista dal Piano delle piattaforme territoriali e delle agenzie di coordinamento, in conflitto con il Titolo V e le autonomie regionali; né quella di un nuovo Piano degli interporti. La risposta può essere solo nel fare scelte serie anche dal lato dell’offerta del trasporto. Per quanto riguarda i porti  non è una benedizione averne tanti, la loro autonomia finanziaria significa assegnazione di risorse pubbliche e la riforma portuale finora prospettata non ha gambe proprio perché in essa non si fanno scelte su questo. Ha poi evidenziato lo scarso peso dato dallo studio al trasporto ferroviario del carico tradizionale, il cui concorrente diretto è la strada. Anche su questo “il Governo deve scegliere, e fare un piano nazionale del trasporto ferroviario”.

Il Presidente del porto di Genova, Luigi Merlo, citando Mino Martinazzoli, ha commentato che la diagnosi rischia di essere più estesa della malattia. Auspicandosi che con questo studio si chiuda
la diagnosi e che i dati ivi riportati vengano aggiornati al 2011, ha chioasato “stamattina il nuovo capitolo da aprire è quello delle risposte”. Non si chiedono risorse, ma di essere messi nelle condizioni di lavorare: “Approvatela questa riforma dei porti o accantonatela. Poi discutiamo”.  Ma gravi pericoli stanno per abbattersi sui porti italiani con la manovra finanziaria, che prevede il blocco del turn over degli organici del pubblico impiego, prospettando  gravi incidenze sull’efficienza ed sulla competitività dei porti, in cui i servizi pubblici condizionano i tempi di
stazionamento e di controllo delle merci movimentate. Ma l’effetto detonatore  principale nei porti di questa manovra è l’art.8, che reintroducendo il contratto di lavoro decentrato, riporterà i porti italiani nelle condizioni degli anni ’50 del secolo scorso. Infine, Merlo chiede di abolire il “tabù” demaniale: ”le aree portuali devono essere pubbliche ma non demaniali, in una logica di diritto anche in vista delle scadenze di molte concessioni portuali”. Secondo Merlo, c’è bisogno di una
rivoluzione culturale, di un sovvertimento che guardi alle merci e non ai costi.

Giovanna Visco

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